La scoperta di un bacino di acqua, probabilmente salata, alla profondità di circa 1,5 km sotto il ghiaccio del polo sud marziano ha una doppia valenza.
Da un lato è un risultato importante ottenuto da un gruppo tutto italiano che ha utilizzato uno strumento concepito e costruito in Italia, con la collaborazione di JPL NASA e Università dell’Iowa, che opera da ben 15 anni a bordo di una sonda Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea.
Dall’altro risveglia l’interesse degli astrobiologi che vedono nel lago sotterraneo un sito dove potrebbe continuare ad esistere qualche forma di vita elementare sul pianeta rosso.
Il risultato, che verrà pubblicato sulla rivista Science, è stato ottenuto da un gruppo italiano guidato da Roberto Orosei dell’INAF, affiancato da colleghi di INAF, ASI, CNR, delle Università di Roma 3, la Sapienza e Pescara con addentellati in ESA e NASA, che hanno usato lo strumento MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding) progettato da Giovanni Picardi, che, purtroppo, non è più con noi per condividere la gioia per il risultato.
Durante ripetuti passaggi sopra la regione del Planum Australe, la calotta polare che ricopre il polo sud di Marte, lo strumento MARSIS, ha rivelato un eco radar forte e chiaro che è stato interpretato come il segnale della transizione da strati di ghiaccio (trasparente al radar), che formano il Planum Astrale, ad uno strato di acqua liquida probabilmente ricca di sali che contribuiscono ad abbassare il punto di congelamento.
In bianco la calotta polare di Marte fatta da ghiaccio di anidride carbonica.
Le strisce colorate evidenziano i passaggi del radar a bordo di Mars Express il quadrato chiaro ha un lato di 200 km
Il lago marziano si estende per circa 20 km e deve essere spesso almeno qualche decina di cm, altrimenti il radar non l’avrebbe visto. Tuttavia, potrebbe essere anche molto più profondo perché il segnale radar è assorbito e non si vede l’eco della transizione tra acqua e roccia o altro ghiaccio.
Segnale radar registrato da MARSIS. La striscia chiara più alta è la riflessione ad opera della superficie del pianeta.
La seconda striscia (indicata con la freccia Basal reflection) è la prova dell’esistenza di una discontinuità tra lo SPLD (South Polar Layered Deposits fatti da ghiaccio e polveri) con qualcosa di molto meno trasparente, come l’acqua liquida
L’interpretazione del segnale radar (che è stata particolarmente difficile e ha richiesto diversi anni di lavoro) è stata guidata da analoghe misure che vengono fatte in Antartide ed in Groenlandia alla ricerca di bacini lacustri subglaciali, particolarmente interessanti perché ospitano microbi che sopravvivono nonostante il freddo e la mancanza di luce. Laboratori ideali per studiare possibili forme di vita sulle lune ghiacciate di Giove e Saturno. Recentemente nell’artico canadese è stato scoperto un lago caratterizzato da alta salinità, cosa che abbassa il punto di congelamento dell’acqua e permette di avere bacini liquidi anche a diverse decine di gradi sottozero.
Miliardi di anni fa, Marte aveva acqua in superficie, un emisfero era completamente ricoperto da un grande oceano e la superficie era solcata da fiumi che hanno scavato tracce profonde nel terremo ma che adesso appaiono completamente secchi.
Sono decenni che ci si chiede dove sia andata a finire tutta questa acqua, una parte della quale era sicuramente evaporata man mano che Marte perdeva la sua atmosfera. Ma cosa era successo al resto dell’acqua? Erano in molti a pensare che si potesse essere nascosta sottoterra .
Storia dell’acqua su Marte da 4 miliardi di anni fa ad oggi
Il risultato di MARSIS conferma questa ipotesi e indica dove (e come) cercare su Marte. Chissà che i bacini lacustri nelle profondità del nostro vicino planetario non ospitino anche qualche forma di vita primordiale.
Dopo tutto, è quello che vediamo nei laghi subglaciali dell’Antartide. Sono completamente isolati dai chilometri di ghiaccio che li ricoprono, sono gelidi e assolutamente oscuri, eppure, tra lo stupore dei ricercatori, sono stati trovati batteri che si sono adattati a queste condizioni proibitive.
Se lo hanno fatto sulla Terra, chissà che non lo abbiano fatto anche su Marte.