Prendete un sasso e lanciatelo in aria (con le dovute cautele!). Cosa vi aspettate che faccia? A meno che non imprimiate ad esso una velocità di 11.2 chilometri al secondo (nel qual caso sarà difficile rivederlo di nuovo sulla terra!), il sasso salirà in alto, rallentando fino a fermarsi, e poi inizierà a tornare indietro, acquistando sempre maggiore velocità.
Tredici miliardi e ottocentodieci milioni di anni fa, anno più, anno meno, una Grande Esplosione (Big Bang) diede origine al nostro universo e a ogni cosa contenuta al suo interno. Dieci miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di secondo dopo questo “bang”, l’universo si gonfiò per un tempo appena un migliaio di volte quest’ultimo già infinitesimo attimo e le sue dimensioni si moltiplicarono per un fattore uno seguito da ventisei zeri: circa un miliardo di miliardo di miliardo di volte! In pratica, divenne quello che è adesso.
È la fase che viene chiamata “era inflazionaria” (che ha poco a vedere con la nostra economia!). Continuò poi a espandersi ma a ritmi senz’altro più tranquilli. Per migliaia di anni, l’universo rimase però opaco: troppo caldo per formare gli atomi più semplici. L’elevata energia impediva agli elettroni di legarsi ai protoni in modo da produrre atomi di idrogeno, (che hanno un protone al centro e un elettrone che gli ruota attorno). Proseguendo con l’espansione, l’Universo seguitò a raffreddarsi fino al momento in cui iniziarono a formarsi i primi atomi e la luce fu libera di andare per la propria strada: essa si era separata dalla materia e l’Universo era diventato finalmente trasparente!
Il calendario segnava la data di circa quattrocentomila anni dopo il Big Bang. Abbiamo traccia di questi attimi importanti, addirittura immagini! C’è una radiazione che permea in modo omogeneo tutto l’Universo, l’impronta fossile di questo momento straordinario, chiamata radiazione cosmica di fondo (o CMBR, Cosmic Microwave Background Radiation) la cui temperatura attuale è di poco meno di tre gradi sopra lo zero assoluto, cioè circa – 270 gradi Celsius.
Come si è arrivati a scoprire l’espansione dell’Universo e da questo alla conclusione che tutto sia iniziato da un grande bang? Con un effetto che tutti noi sperimentiamo quando ascoltiamo una sirena montata su un mezzo di soccorso che prima si avvicina a noi e poi si allontana: nel primo caso, avvertiamo il suo tono più alto, nel secondo, più basso: è l’effetto Doppler, che si applica anche al caso della luce.
Fino al 1929, si pensava che l’universo fosse statico, immutabile. Lo stesso Einstein manifestò preoccupazioni per la sua teoria della relatività generale, che peraltro fondava di fatto la cosmologia moderna: dalla risoluzione delle sue equazioni, veniva fuori infatti un universo dinamico, in espansione. E allora lo scienziato nelle sue equazioni introdusse un termine, il termine “lambda”, in pratica per... tenerlo fermo, come si credeva fosse!
Nel 1929, un astronomo di nome Edwin Hubble scoprì l’arcano. Studiando la luce proveniente dalle galassie, egli trovò qualcosa che aveva a che fare con l’effetto Doppler, anche se applicato non alle onde sonore bensì a un altro tipo di onde, quelle della banda elettromagnetica: la luce emessa dalle galassie era sensibilmente spostata verso la zona rossa dello spettro, a evocare una sorta di “sirene luminose” in allontanamento da noi. E questo valeva per quasi tutte le galassie osservate.
La conclusione ovvia era che quindi ogni galassia si distanzia progressivamente da tutte le altre non a causa di velocità propria, ma perché è lo spazio stesso che si espande, trascinandole con sé. Il fenomeno è analogo a quello dei punti disegnati su un palloncino che si gonfia: man mano che questo accresce le sue dimensioni, la loro distanza relativa aumenta in proporzione. Hubble trovò anche una legge matematica (legge di Hubble) che mette in relazione questa velocità di allontanamento (recessione) con la distanza relativa tra due galassie tramite una costante di proporzionalità che fu chiamata appunto costante di Hubble, indicata col simbolo H0. La particolarità di questa costante (in realtà più un parametro che una costante), è che il suo reciproco 1/H0 ha la dimensione di un tempo e il suo valore si avvicina moltissimo all’età attuale dell’universo, t0, di cui abbiamo detto più sopra.
Quanto vale H0 e in quali unità viene descritta correntemente? Per dare idea dell’espansione dell’universo, essa viene proprio intesa come se fosse la misura di una velocità, espressa quindi in chilometri al secondo (Km/s), riferita però a una certa “unità di distanza”. E a quanto corrisponderebbe questa unità di distanza? A poco più di trenta miliardi di miliardi di chilometri. Perché proprio questo valore? Vi invito a fare un piccolo calcolo: l’anno–luce è la distanza percorsa dalla luce in un anno alla velocità di trecentomila chilometri al secondo (circa diecimila miliardi di chilometri). Poco più di tre volte un anno–luce è una distanza di riferimento che viene chiamata parsec (e siamo arrivati a circa trentamila miliardi di chilometri). Moltiplichiamo ora il risultato ottenuto ancora per un milione (mega) e otteniamo l’unità di distanza rispetto alla quale viene misurata la costante di Hubble, che è pari a un milione di parsec (cioè un megaparsec), indicata con la sigla Mpc, che vale quanto scritto prima. Tranquilli, ci siamo, alla fine! La costante di Hubble viene misurata quindi in chilometri al secondo per megaparse (Km/s/Mpc) e il suo valore è...
... già, quanto vale questa costante? Beh, sono un po’ imbarazzato... tutta questa fatica per calcolare a quanti chilometri corrisponde un megaparsec e poi... manca proprio il numero che lo rappresenta?!... Non è proprio così, per fortuna! È da poco meno di un secolo che si cerca di arrivare a scoprire il valore attuale esatto di H0. Le sonde spaziali lanciate in varie missioni dedicate (WMAP, Planck) nell’ultimo decennio hanno ricostruito l’immagine dell’universo quando questo uscì dal proprio buio, studiando sempre più in dettaglio le variazioni di temperatura anche microscopiche della CMBR, la radiazione cosmica di fondo. Ciò ha permesso di affinare sempre più il valore di questa costante che oggi si attesta intorno a circa 68 chilometri al secondo per megaparsec (Km/s/Mpc), a intendere che ogni trenta miliardi di miliardi di chilometri (Mpc), la velocità di espansione dell’universo aumenta di 68 Km/s. Quindi, saremmo a buon punto, non è vero?
...e invece, non è proprio così. Già, perché esistono anche altri metodi più “locali” per determinare il valore attuale della costante di Hubble, per esempio utilizzando il calcolo preciso della distanza delle esplosioni stellari (supernove) usate come “candele standard” – di cui è possibile conoscere esattamente la luminosità e che si accendono all’improvviso in alcune galassie – sfruttando la capacità di telescopi sia terrestri che montati a bordo di satelliti, come l’Hubble Space Telescope (HST). Bene, molte campagne d’osservazione durate anni, che hanno coinvolto lo studio sistematico di migliaia di galassie, hanno prodotto per la costante di Hubble un risultato decisamente in disaccordo con il dato riferito alla CMBR: 73 Km/s/Mpc.
Penserete: “Stiamo parlando di una differenza di appena 5 Km/s/Mpc! Forse ci saranno da valutare gli errori sperimentali, qualche abbaglio... Anche con l’autovelox si lascia un margine di “fiducia” di qualche percentuale sulla velocità misurata! Ora, vuoi che con le galassie...? Parliamo di galassie, non di una Panda fotografata mentre sfreccia a 68 o a 73 km/s!...”.
E invece... Negli anni, questa “tensione” nei dati riferiti alle due diverse filosofie di misura della costante di Hubble si è dimostrata oggettiva: due metodi diversi di misurare lo stesso parametro forniscono risultati diversi! Psicologicamente, è come ritrovarsi ai tempi in cui si mostrava che in alcuni esperimenti la luce si comporta come un’onda, in altri come un insieme di corpuscoli (i fotoni.)... ma qui non siamo nell’infinitamente piccolo, anzi!
Un recentissimo articolo pubblicato su Nature Astronomy (“Dynamical dark energy in light of the latest observations”, di Gong-Bo Zhao, Marco Raveri, et al.) avanza un’ipotesi basandosi sull’analisi dei dati forniti dalle osservazioni per spiegare questa “tensione”.
E per spiegarla, finalmente torniamo al nostro “sasso”. L’evoluzione dell’universo dovrebbe essere vista come il suo lancio: dopo la fase iniziale, la velocità di espansione, a causa della forza attrattiva prodotta dalla distribuzione di materia nel cosmo, dovrebbe essere via via rallentata fino a prevedere – come alcune teorie propongono – il collasso dell’universo fino allo stadio pre–big bang. È la teoria del Big Crunch. Quella del “sasso” sarebbe pur sempre un’ipotesi ragionevole, no?
E invece... alla fine del secolo scorso si scoprì che l’espansione dell’universo, invece di decelerare, da qualche miliardo di anni è in progressiva accelerazione!
La causa di questo comportamento anomalo è forse imputabile alla presenza di una energia nell’universo non rilevabile direttamente che produca una sorta di pressione negativa, portando la sua espansione ad accelerare: l’energia oscura.
Le collaborazioni internazionali WMAP e Planck hanno infatti censito tutto ciò che è presente nel nostro universo ed è stato sconfortante scoprire che tutto quello che osserviamo, di cui abbiamo esperienza diretta, non è che un misero 4.9% del tutto! Il 26.8% corrisponde alla cosiddetta materia oscura e ben il 68.3% all’energia oscura.
L’articolo in questione, prendendo come risultati oggettivi entrambi i valori di H0, dà conto di questa tensione nella sua determinazione imputandola agli effetti della variazione nel tempo e nello spazio della energia oscura (quelli nello spazio, pure se presenti, non sarebbero però rilevabili). Tenendo infatti conto di questo effetto, i dati diversi risulterebbero coerenti, annullando così l’apparente incongruenza.
In definitiva, anche se non è possibile “osservare” la dinamicità dell’energia oscura nell’evoluzione dell’universo come “il proiettile”, una semplice, piccola differenza nella misura di un parametro cosmologico fondamentale si comporterebbe in maniera tale fa farci intravedere la sua “smoking gun”, capovolgendo l’interpretazione.
Molte informazioni sull’universo si otterrebbero dalla conoscenza di questo parametro. Per il fatto che H0 ha comunque le dimensioni dell’inverso di un tempo, il suo prodotto con l’età t0 dell’universo, H0*t0, fornisce come risultato un numero puro che si avvicina moltissimo all’unità. E sapere se il valore esatto di questo prodotto sia maggiore o minore di 1 porterebbe a interpretare l’evoluzione del cosmo in modi completamente diversi.
Una mia nota di colore. Attribuendo ad H0 il valore indicato dai dati della CMBR, il prodotto H0*t0 fornirebbe come risultato 0.9624 (utilizzando i valori esatti compresi nell’intervallo di misura!). Ho scoperto che questo numero è molto interessante (potete verificarlo con una calcolatrice scientifica): corrisponde al logaritmo naturale della somma di 1 più un numero straordinario, la sezione aurea, che vale 1.618..., la divina proporzione, il numero della Bellezza, riscontrabile nelle forme della natura, nell’equilibrio e nell’armonia di strutture architettoniche, nella nostra inconscia percezione di bellezza... Si tratterà certo di una coincidenza numerica. Però essa appare “oggi”. Come a voler dire: viviamo pur sempre tempi interessanti...