Ci sono film che ti fanno innamorare per la loro poesia, per la forza narrativa, per l’intensità della storia, per le immagini toccanti, per l’arguzia delle battute, per la costruzione dell’intreccio. Ci sono poi film che ti conquistano perché entri subito in sintonia con l’autore e inizi a guardare la realtà rappresentata con i suoi occhi. Se lo sguardo è ironico, sarcastico, canzonatorio, caricaturale, ci sono forse solo due modi per vivere il film: con piacere immenso o con distacco e un po’ di fastidio. Ed ecco perché ‘Notti magiche’ di Paolo Virzì, presentato in anteprima mondiale nella serata di chiusura della Festa del Cinema di Roma (biglietti esauriti da dieci giorni), secondo me è un film bellissimo.
Eppure mi trovo in maniera clamorosa fuori dal coro dei critici e, per questo, sono curioso di vedere il giudizio del pubblico l’8 novembre, quando il film uscirà nelle sale italiane.
Il circo di Paolo Virzì
Partiamo dal film. La notte della finale Italia-Argentina del Mondiale di calcio 1990 disputata a Roma per la morte misteriosa di un produttore sono interrogati in caserma tre giovani sceneggiatori (Mauro Lamantia, Giovanni Toscano e Irene Vetere). Il capitano dei carabinieri (Paolo Sassanelli) li mette sotto torchio e loro raccontano gli ultimi giorni trascorsi nella Capitale, dove sono giunti perché finalisti del premio Solinas. I giovani entrano a contatto (e immediatamente fagocitati) col mondo del cinema italiano che a Roma vive gli ultimi momenti di gloria e che di lì a poco cesserà di esistere insieme a molti suoi protagonisti, a partire da Federico Fellini che gira il suo ultimo film. Ed è un mondo di ‘mostri’, nell’accezione di Dino Risi (che nel film non c’è), con Lina Wertmuller e Mario Monicelli che non si possono disturbare perché guardano la semifinale in tv, l’avvocatessa Giovanna Cau (Ludovica Modugno) che spiega come funziona il lavoro dei giovani sceneggiatori (“mica vorrai firmare col tuo nome!”, dice all’ingenuo talentuoso giovane sceneggiatore), Ennio De Concini (Paolo Bonacelli) con i suoi ‘negri’, Furio Scarpelli (Roberto Herlitzka) ‘padre nobile’ e geloso, Vittorio Cecchi Gori, Michelangelo Antonioni (a cui si ispira il Maestro Pontani-Ferruccio Soleri), Federico Fellini che gira negli stabilimenti De Laurentiis l’ultima scena de ‘La voce della Luna’.
Poi ci sono tanti altri personaggi veri, verosimili o in parte inventati che completano quella corte un po’ decadente. Non è il vero mondo del cinema, quello raccontato da Virzì, ma una sua immagine filtrata attraverso la lente della memoria e dell’ironia. Tutti sopra le righe, i vari personaggi, tutti a modo loro ‘mostri’, eppure tutti trattati con affettuoso rispetto e un po’ di velata nostalgia. Anche il produttore indebitato (Giancarlo Giannini) che porta via al povero e ingenuo sceneggiatore siciliano il suo assegno milionario nella speranza di coinvolgere il grande regista in un progetto per la tv, oppure la svampita e sciocca attricetta (Marina Rocco) con cui si accompagna che forse è davvero innamorata del suo anziano compagno. C’è poi l’ex regista di culto (Andrea Roncato) ormai ridotto alla fame e il presenzialista (Emanuele Salce), eterno imbucato alle feste che conosce tutti e non si sa bene cosa faccia nella vita, ma c’è sempre.
Ci sono poi il grande attore francese (Jalil Lespert) che si comporta da vigliacco quando pensa di aver messo incita la sceneggiatrice o il padre di quest’ultima (Giulio Scarpati), un politico molto potente o, ancora, l’ex attore di strada (Eugenio Marinelli) famoso per i ‘poliziotteschi’ diventato autista e factotum del produttore per necessità. In questo contesto, in un’Italia a cui fa da sottofondo la canzone di Gianna Nannini diventata simbolo del mondiale, si consuma un possibile omicidio. Un delitto che non è un delitto..
Un omaggio irriverente
Un noir, lo ha definito Virzì, ma a ben vedere la trama importa fino a un certo punto. E’ il divertimento di raccontare i ‘mostri’ (sacri e umani) del grande cinema italiano ed essere immersi in quell’atmosfera surreale – forse in parte anche vera – per due ore ad aver animato Virzì, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo che hanno riprodotto loro stessi trent’anni fa quando per la prima volta sono entrati a contatto con quell’universo.
Ma il regista livornese, divoratore e grande esperto di cinema, non si è limitato a raccontare e sbeffeggiare quei grandi, ha voluto rendere anche omaggio innanzi tutto a quello che senza dubbio considera il suo maestro, Ettore Scola. Lo fa citando a più riprese ‘C’eravamo tanto amati’, lo fa creando il personaggio di Emanuele Salce, lo fa scrivendo il magnifico dialogo tra il giovane sceneggiatore siciliano che tanto assomiglia a Stefano Satta Flores di ‘C’eravamo tanto amati’ e la fidanzata. Non è un caso che Francesco Piccolo abbia detto di aver capito che l’idea del film è venuta a Paolo Virzì il giorno in cui il cinema italiano si è riunito alla Casa del cinema di Roma per l’ultimo saluto a Ettore Scola.
E così ‘Notti magiche’ diventa una sorta di racconto degli ‘ultimi fuochi’ del cinema italiano, che si conclude anche simbolicamente con l’ultimo ciak del più grande regista di sempre, Federico Fellini, con Roberto Benigni che pronuncia l’ultima battuta: “Io credo che se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire”.
La scelta di Virzì...
Ecco perché per me ‘Notti magiche’ è un film bellissimo. Perché è ironico e sarcastico, perché ti tuffa in un mondo magico in cui tutti sono più o meno geni, seppure pieni di difetti. In cui artisti immensi sono raccontati in una sorta di circo felliniano dove non c’è poesia ma allegria. Non è la realtà, dunque, quella che vuole raccontare Virzì. Non ci sono personaggi veri o verosimili. Tutti ‘vogliono’ essere sopra le righe. Tutti sono un po’ grotteschi. Ma questa è la cifra stilistica scelta dal regista che sa di non poter rifare la grande commedia dei maestri parlando di loro e allora sceglie un’altra strada.
Cambia registro, sale di tono e crea caricature che sono, come spiega lo stesso Virzì, “sintesi ironiche” dei diversi personaggi. Tutti: dal capitano al produttore, dall’autista al grande sceneggiatore, dall’attricetta alla grande avvocatessa, dal regista squattrinato all’imbucato professionista. Fino ai tre giovani protagonisti che tanto generosamente sono modellati sui tre sceneggiatori e che (chissà quanto) gli assomigliano.