Ce ne vuole di coraggio per affrontare un personaggio come Fabrizio De André, un artista di spessore internazionale considerato probabilmente a ragione “il Bob Dylan italiano” (definizione di Fernanda Pivano), un cantautore e poeta che ha saputo regalare emozioni e scrivere testi di una bellezza rara. Un protagonista assoluto della cultura, scomparso l’11 gennaio 1999 stroncato da un tumore ai polmoni conseguenza di una passione smodata per le sigarette (diceva che non faceva uso di hashish perché non avrebbero mai dato le sensazioni che gli davano le sue nazionali senza filtro), che ha ancora milioni di fan innamoratissimi in tutta Italia che hanno atteso con trepidazione l’uscita in sala (23 e 24 gennaio in 300 cinema) del film ‘Fabrizio De André. Principe libero’ di Luca Facchini che il 13 e 14 febbraio arriva su Rai1.
il coraggio premiato
Ce ne vuole di coraggio, dicevamo. Forse di incoscienza. Soprattutto quando si decide di far interpretare Faber da un attore romano, bravissimo ma pur sempre non genovese come Luca Marinelli. Eppure a volte il coraggio viene premiato. Ed è questo il caso: il film – perché chiamarlo fiction è riduttivo e improprio - è tecnicamente di alto livello, di qualità paragonabile ai prodotti cinematografici e non tradisce gli orfani di De André.
Luca Marinelli, malgrado non parli genovese, è incredibilmente simile a Faber, così come Valentina Bellé è molto brava e credibile (oltre che somigliantissima) a Dori Ghezzi. Le canzoni, poi, colonna sonora e oggetto-commento della narrazione, sono usate sempre in maniera appropriata e funzionale allo svolgimento: a volte descrivono una situazione a cui si riferiscono (‘Hotel Supramonte’ per il rapimento, ‘Le acciughe fanno il pallone’ per i pescatori di Genova, ecc.), altre sono protagoniste del racconto (‘La canzone di Marinella’ cantata da Mina, ‘Canzone di maggio’ cantata da De André, ‘Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitier’ cantata da De André e Villaggio) e altre ancora servono semplicemente a creare atmosfere ed emozioni (‘Quello che non ho’, ‘Smisurata preghiera’, ‘Se ti tagliassero a pezzetti’).
Luca Marinelli spegne le polemiche
Luca Marinelli, indimenticabile Zingaro in 'Lo chiamavano Jeeg Robot' di Gabriele Mainetti, nei panni di Fabrizio De André fornisce una delle sue prove attoriali più intense, riuscendo a trasmettere quell’insicurezza del genio e quella tranquillità dell’uomo curioso e avido di conoscere il mondo che era il cantautore genovese e accettando anche il rischio di cantare alcune canzoni. Ovviamente i puristi di Faber – che sono insorti dopo la pubblicazione del trailer - obiettano che Marinelli non parla genovese, che non ha la cadenza del personaggio che interpreta, che la sua voce non assomiglia molto a quella di De André, ma in pochi potranno obiettare che il risultato è di buon livello e il film risulta un omaggio riuscito al più grande cantautore italiano di sempre.
La storia
Il film, scritto da Francesca Serafini, Giordano Meacci e Luca Facchini e diretto da quest’ultimo, vede nel cast anche Ennio Fantastichini nei panni del padre Giuseppe, Elena Radonicich in quelli della prima moglie Enrica Rignon detta 'Puny', Davide Iacopini in quelli del fratello Mauro, Gianluca Gobbi in quelli di Paolo Villaggio, Matteo Martari in quelli di Luigi Tenco e Tommaso Ragno in quelli di Riccardo Mannerini. La storia di ‘Principe libero’ parte dal rapimento in Sardegna il 27 agosto 1979 da parte di una banda di rapitori sardi. Poi il salto indietro a quando era un bambino ribelle che si sentiva costretto nell’accettare le regole dettate dal padre, piemontese trasferitosi a Genova dove aveva acquistato un istituto tecnico. Un’infanzia e poi un’adolescenza in compagnia di amici scapestrati e una passione per i vicoli di Genova dove c’è la gente vera.
E le prostitute che amava frequentare fino a tarda notte. La storia prosegue con i primi passi nel mondo musicale grazie alla spinta dell’amico Paolo Villaggio, la timidezza che lo ha tenuto per anni lontano dal palcoscenico anche quando il suo nome era diventato popolarissimo), l’amicizia con Luigi Tenco e poi la dipendenza da fumo e alcol. Si va dal successo grazie a Mina che canta sulla Rai ‘La canzone di Marinella’ fino all’esordio in pubblico a La Bussola, dal matrimonio con Puny e la nascita del figlio Cristano (che non ha gradito che si facesse un film su suo padre) all’amore per Dori Ghezzi e la tournè con la Pfm. Alla fine il film torna in Sardegna e prosegue con la liberazione di Dori e Faber dopo tre mesi di prigionia grazie al riscatto pagato dal padre di De André, con il riavvicinamento finale tra padre e figlio, il ‘ricatto’ di Giuseppe a Faber in punto di morte e l’ultimo concerto al Brancaccio di Roma con cui si chiude la pellicola.
Le scelte degli sceneggiatori
Fabrizio De André raccontato nel film è anarchico, sofferente, infelice, insicuro, ma anche appassionato della vita, poeta, artista, idealista. Manca tutta la parte di Faber più profonda: la sua cultura vastissima, la sua passione per i dialetti, la profondità del suo pensiero anarchico, la compassione per gli ultimi, così come mancano aspetti sgradevoli del carattere che aveva, come tutti. Ma questo è un film ed è comprensibile e necessario fare delle scelte. Come ha raccontato Dori Ghezzi, che ha sempre sostenuto questo progetto, “la percentuale di invenzione è alta anche perché in due ore e mezza si impongono scelte drastiche”, ma ogni “personaggio della finzione, come Tenco o Villaggio, ne racchiude simbolicamente molti altri, un mondo di amici, collaboratori, fratelli d'arte".
Marinelli che non ti aspetti
Ancora una curiosità, rivelata ancora da Dori Ghezzi: nella ricostruzione perfetta del concerto con la Pfm di cui esiste un video molto noto si vede De André-Marinelli cantare ‘Il pescatore’.
Sembra, a un primo ascolto, che l’attore romano canti in playback sul brano originale dello storico concerto. Invece è proprio Marinelli a cantare accompagnato dal gruppo 'Faber per sempre' che ha suonato e arrangiato il brano.