Quando la velocità dei venti di una tempesta tropicale raggiunge i 120 km/ora la si promuove ad uragano. Il nome, invece, se lo porta dietro fin da quando era bambina, e va in ordine alfabetico. Prima Harvey, ora Irma ma allo stesso tempo anche Jose e Katia, che fortunatamente sembrano voler rimanere uragani “piccolini”.
Irma no, è cresciuto (o cresciuta?) e si è irrobustito nel tempo; passeggiando sopra acque più calde del solito. Acque calde? Sì, perché come si generano gli uragani, con lo scontro titanico di masse d’aria calda e umida marina con quelle fredde sovrastanti, è abbastanza noto. Però se chiedi in giro quasi nessuno ti dirà che, una volta nati, gli uragani crescono (una temperatura superficiale attorno ai 26°C è necessaria per il suo sviluppo) e si nutrono del calore che trovano in acqua. Non parliamo solo di quello in superficie, ma anche del calore disponibile fino a molti metri di profondità. E in acqua può esservene molto, dato che lo stesso calore presente nell’atmosfera lo troviamo nei soli primi 2 metri di mare.
Gli uragani come Irma non sono un'eccezione, anzi
Più calde sono le acque, più l’uragano può crescere in intensità e maggiore umidità può portarsi dietro. Irma è un uragano di categoria 5, la più alta possibile, di una scala che non è però “aperta”, ma si basa sui danni che riesce a causare. Infatti, come speso accade, fin che stanno in mare aperto gli uragani non sono di nessuno, e se ne parla poco. Capirne i percorsi e l’intensità non è mestiere facile, non lo è per chi cerca di osservarli da vicino, ma nemmeno per chi siede di fronte a un computer cercando di descriverne la fisica attraverso un modello numerico.
L'uragano Irma comincia a fare notizia quando punta le aree popolate
Poi, quando l'Irma di turno vira verso zone popolate, inizia a destare interesse. E quando “tocca terra” ed inizia a perdere il suo combustibile, un uragano come Irma si porta dietro venti ad oltre 250 km orari e piogge torrenziali che inondano la costa. E sono problemi seri. Discuteremo ancora per qualche anno se questi fenomeni sono in aumento: sì, no, forse. I segnali di mutamento sono a volte lenti, abbiamo già visto questo accadere con le discussioni sul livello dei mari, con il riscaldamento dell’atmosfera o degli oceani. Di certo stanno aumentando i fenomeni di questo tipo che definiamo “intensi” e i danni che riescono a causare.
La ragione è senza dubbio collegabile sia al fatto che l’uomo ha costruito molto e popola volentieri le zone costiere, e quindi di fronte a fenomeni particolarmente intensi i danni possono essere più ingenti. E di certo contano anche alcuni processi a grande scala, come El Niño/La Niña (il primo molto intenso negli ultimi due anni). Ma una quota è anche legata al riscaldamento del Pianeta, perché di fatto gli oceani (sì, anche gli oceani) e non solo l’aria si stanno riscaldando. Stiamo dando più cibo agli uragani, non è detto che lo usino sempre, però è così.
Conta il riscaldamento globale, ma non solo. Niente allarmismi
Niente allarmismi, niente cassandre. Però facciamo uno sforzo, mettiamo insieme i pezzetti e guardiamo al puzzle nel suo complesso, non solo alla singola tesserina che di volta in volta prendiamo in mano: l’alluvione qui, l’uragano là, la siccità un poco più in giù. Quello che accade su questo Pianeta è molto più collegato di quanto si pensi, non verremo mai a capo della variabilità climatica se non consideriamo e studiamo le cose in modo veramente integrato. Nel caso degli uragani, l’atmosfera e gli oceani si parlano, non sono mondi separati; non riusciremo a capire cosa dicono se non usiamo un vocabolario che tenga conto di questo. Intanto, l’alfabeto è lungo e la stagione degli uragani non è finita.
Questo post è stato scritto con Silvio Davolio dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera del Consiglio nazionale delle ricerche