L'Italia è il Paese più esposto alle catastrofi naturali di tutta Europa e di tutta l'area mediterranea. Terremoti, alluvioni, frane, maremoti, avversità atmosferiche eccezionali di ogni sorta, colpiscono regolarmente il Belpaese che deve mettere in conto cifre dell'ordine dei 5 miliardi annui di danni materiali. Questo in media, perché se succedesse uno dei nostri "Big One” ovvero eventi come Avezzano 1915, Messina 1908, Val di Noto 1693, allora le perdite economiche potrebbero diventare insostenibili.
Incrociando la storia sismica nazionale con gli strumenti parametrici di sofisticati modelli, si ricavano proiezioni da brivido. Secondo una simulazione di una società di riassicurazione un terremoto di magnitudo come quella di Amatrice in un'area a forte concentrazione industriale potrebbe causare perdite fino ad una cinquantina di miliardi di euro. Si consideri che i terremoti più rilevanti avvenuti dal 1980, terremoto dell'Irpinia, al 2016 (sequenza 2016 del Centro Italia esclusa) hanno prodotto danni per 60 miliardi di euro circa.
Perché risarcire costerà sempre di più
Dal 1970 ad oggi, 7 dei 10 terremoti più costosi d’Europa si sono verificati in Italia, paese doppiamente esposto per la vulnerabilità del suo patrimonio artistico e per le costruzioni edificate in assenza o in barba alla normativa antisisimica.
Questo dovrebbe far riflettere sulla concessione del risarcimento a tutti, comunque e nonostante le responsabilità di taluni, pubblici o privati che siano. L’indesiderabile primato italiano di esposizione alle catastrofi naturali si accompagna ad un’aggravante: risarcire costerà sempre di più. Si accresce infatti il valore concentrato su ogni metro quadro. È un trend in decisa accelerazione.
Basta paragonare i macchinari di una filanda con quelli di una fabbrica 4.0 di oggi. Oppure confrontare la concentrazione edilizia ai tempi dei nostri nonni e quella di adesso o, ancora, gli elettrodomestici contenuti nella casa dei genitori e le apparecchiature elettroniche mediamente possedute oggi.
Con questo aumento vertiginoso dell’esposizione, indennizzare con il solo intervento dello Stato alla lunga non può reggere. Non sono solo le casse pubbliche a non farcela ma finisce per azzopparsi l’intero sistema Paese.
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Prevenzione e assicurazione devono scattare all'unisono
C’è poi una prospettiva macroeconomica da considerare. Le misure di prevenzione e gli interventi strutturali antisismici sono imprescindibili ma non annullano il rischio di crolli di natura economico-finanziaria. Una grande calamità infatti sconvolge il sistema economico produttivo del Paese, mette a dura prova la sua resilienza, impatta sul PIL. Salviamo la vita ma perdiamo casa e lavoro: di qui l’importanza di una gestione del rischio ex-ante combinando prevenzione anti-sismica e copertura finanziaria-assicurativa.
Le piccole e medie imprese sono largamente sottoassicurate contro catastrofi naturali e poco più di 1% degli immobili residenziali è coperto. La penetrazione assicurativa del ramo danni non-auto misurata in volume dei premi danni non-auto in rapporto al PIL in Italia è pari a 0,9%, in Francia a 2,4%, in Germania a 2,5% e mediamente sopra 2% in tutti gli altri paesi europei dove il meccanismo di mutualità permette di correggere l’incidenza economica del premio sul portatore di rischio più alto. Pagando tutti, pagheremmo molto meno.
Con una penetrazione superiore a 90% si avrebbero premi medi di 100 euro l’anno. C'è però un grande problema culturale: la difficoltà di far accettare l'obbligatorietà a consumatori già guardinghi con l’obbligo del RC auto e professionali. È auspicabile quindi un'intensa campagna di sensibilizzazione promossa dal governo.
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Deprecabile la modesta attenzione del legislatore alla funzione sociale della copertura assicurativa contro inondazioni e terremoti in un Paese come il nostro. Non godono di nessun incentivo fiscale: non sono deducibili nella dichiarazione dei redditi, come invece avviene per le polizze vita, e l’Iva è molto alta: 22,25%.
Serve una cooperazione tra pubblico e privato
Gli schemi di copertura potrebbero prevedere una cooperazione tra pubblico e privato. Lo Stato potrebbe assumere il ruolo di riassicuratore in ultima istanza: le compagnie private coprirebbero fino a una certa soglia, oltre la quale (caso meno probabile) interverrebbe lo Stato che potrebbe finanziarsi con operazioni di cartolarizzazione di immobili pubblici.
Se il terremoto dell’Irpinia, dove i primi soccorritori ad arrivare sul posto furono operai specializzati inviati dal sindacato, ha portato alla nascita della Protezione Civile, possiamo sperare che questi ultimi sismi in Centro Italia, portino a soluzioni efficienti e finanziariamente sostenibili di risarcimento dei danni economici da calamità naturali?
(Grazie a Patrizia Feletig, giornalista di Repubblica A&F, per le informazioni sulle Assicurazioni)