Il più grande pericolo per la conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione di conoscere (tutto)…
Quella sopra è un aforisma di Stephen Hawking, morto oggi, 14 Marzo 2018. Questo breve post – breve per ragioni di tempo, è la settimana del cervello e corro a fare un seminario in Svizzera – vuole ricordare qualcuno che, in quanto scienziato, mi sarebbe piaciuto chiamare collega. Ma non posso, non mi ci avvicino nemmeno. Hawking era e rimane uno dei più grandi fisici teorici e cosmologo di tutti i tempi e le sue teorie e studi sull’origine dell’universo e sulle leggi che ne governano l’esistenza ed il funzionamento sono immensi, per molti versi insuperabili.
Ma ci sono diversi fili che in qualche modo legano me ed il mio lavoro a questo uomo incredibile. Il primo, e forse più casuale, è quello che vede chi vi scrive essere un “fisico teorico mancato”. Innamorato della fisica teorica e quantistica fin da giovane, ho rinunciato a perseguire questi studi per motivi lunghi da spiegare, ma l’interesse è rimasto ed i libri di Hawking, chiari, comprensibili e illuminanti, sono stati compagni di vita negli anni – acqua nel deserto.
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Ma gli studi di neurobiologia che ho poi perseguito mi hanno portato ad incrociarlo, almeno idealmente, ancora una volta, nel mio campo. Hawking era affetto da una forma forse un po’ particolare di malattia del motoneurone, quella che tutti conoscono come Sclerosi Laterale Amiotrofica o SLA. È una malattia neurodegenerativa devastante, che distrugge progressivamente i nervi che ci permettono di muoverci, lasciando l’essere umano che ne soffre prigioniero nel proprio corpo, cosciente e sensibile appieno. Non c’è cura, la stiamo cercando, il mio gruppo ed il mio istituto lavorano proprio sulla SLA.
Facciamo trapianti su questi pazienti con staminali cerebrali, per cercare di rallentare o bloccare la malattia. È qui che ho idealmente incrociato ancora Hawking. Ma il percorso è all’inizio ed è lungo e la SLA una delle malattie più orribili che esistono. Eppure Hawking ha vinto anche questa. Prigioniero in se stesso per decenni, ha trovato nel suo pensiero, nella sua incredibile intelligenza, nella sua determinazione, nella sua mente, le ali per volare lontano da quell’incubo giornaliero. Forse questo “isolamento” lo ha spinto a spingersi avanti, in alto, chissà… Ma l’uomo era un genio, e si è librato in uno spazio d’immagini, algoritmi e formule, modelli teorici che spiegano o aprono nuovi orizzonti sulla natura del reale, del nostro universo.
Argomenti e concetti che anche con le sue spiegazioni ho, ed in genere si ha, difficoltà anche solo ad afferrare a livello intuitivo. Possiamo solo ringraziarlo per averci portato con lui in questo viaggio ed averci dischiuso porte di conoscenza che sembravano chiuse da e per sempre. A noi gente semplice, non resta che cercare di ricambiare in ogni modo possibile, ricordando e perpetuando i valori che Hawking diffondeva. Nel nostro piccolo, cercheremo di estendere, migliorare e, se possibile portare a compimento terapie cellulari per la SLA e altre malattie neurologiche. Lo dobbiamo sicuramente a lui ma lo dobbiamo alla società, a tutti quei pazienti che noti non sono ma che soffrono, molto e troppo spesso dimenticati nelle loro case. È un dovere sociale ed umano che no può essere alienato. Non so se questa nostra sia la via od una delle vie giuste, ma è d’obbligo provare con tutte le forze, e con il supporto di tutte le forze civili, sociali, politiche, professionali. Al di fuori di ogni interesse ed ideologia. Perché sono i grandi ideali che fanno grandi gli uomini e grande l’umanità – Hawking docet.