Questo post è stato scritto a quattro mani con Vieri Giuliano Santucci, ricercatore dell'Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione del Cnr
Al netto della polemica scatenata dalle sue frasi su Facebook, c’è un punto su cui il consigliere regionale del Movimento 5 stelle Davide Barillari ha ragione: tra scienza e politica, è alla seconda che tocca decidere. È passato un po’ in secondo piano perché è stato dato più peso (giustamente) ad alcune frasi oggettivamente inaccettabili in cui si rivendica la subalternità della scienza rispetto alla politica.
Il punto è che negli ultimi anni si sono radicalizzate due tendenze di massima nel dibattito pubblico. Da un lato una che non si sbaglia a definire ‘complottista’, quella del "non fidatevi di nulla" perché dietro ogni spiegazione, scientifica o razionale, ci sono degli interessi. Dall'altra una opposta, polarizzata al contrario come oramai ci siamo abituati a vedere nel dibattito pubblico, che vede le nuove scoperte in campo scientifico (e soprattutto in quello tecnologico) come necessariamente migliorative della nostra vita, come unica soluzione possibile ai tutti i nostri problemi, unica soluzione razionale possibile.
La contrapposizione tra scienza e politica
Su questi due poli opposti si gioca gran parte della diatriba politica tra partiti populisti e i loro oppositori, più o meno sostenitori della verità scientifica.
Barillari però ha fatto un passo più in là, contrapponendo direttamente la politica alla scienza. Se si guardano le sole prime righe, quasi si potrebbe pensare che il post sia una rivendicazione del ruolo decisionale della politica. In tal caso, nessuno scandalo. Anzi, una cosa giusta da ribadire.
Sempre di più, in questo mondo in cui tutti pensano di poter dire la propria su qualsiasi argomento, è bene ribadire l'importanza dei ruoli. La scienza e la tecnologia sono necessari strumenti per conoscere i dati riguardanti il mondo, gli individui e soprattutto le dinamiche che regolano la società nei loro rapporti interni e con l'ambiente. I dati, però, tali rimangono.
Le scelte di governo sono appunto politiche perché partono da presupposti e valori "etici” (usiamo qui il termine ‘etica’ nel suo significato più pratico) e programmatici, legati cioè ad una visione del mondo e della società non strettamente razionale, ma determinata da valori che dovrebbero rispecchiare quelli della maggioranza delle persone che ha votato un certo schieramento politico.
Un'ipotesi, per assurdo, di dominio incontrastato dell scienza
Una gestione della cosa pubblica estremamente "fedele" ai dati scientifici potrebbe essere qualcosa di inquietante, anche se magari estremamente razionale. Facciamo un’ipotesi. Mettiamo che in base a dei dati si dimostri che sia più conveniente per la società, o per la razza umana, che non si presti più assistenza medica a persone affette da disabilità. È solo un’ipotesi, ovviamente, terribile ed esagerata: ma in un futuro potremmo dover affrontare questa "verità". Ma nessuno di noi vorrebbe piegarsi a questo dato. La politica, assodato che parliamo di un’ipotesi, rivendicherebbe il suo primato sulla scienza e prestare comunque aiuto a queste persone, anche contrariamente ai ‘dati’.
È giusto quindi che la politica rivendichi il proprio ruolo rispetto alla scienza, alla fredda scienza. Purtroppo però il post di Barillari non dice questo. Dice che i dati stessi della scienza, su cui poi la politica dovrebbe decidere, possono essere opinabili. Contrappone la retorica dei ‘dottori in camice bianco’ al buon senso della gente comune che potrebbe saperne più di loro. Allora no. Questo è un altro paio di maniche, ed è inaccettabile.
Mettere in discussione i dati scientifici (che sono sempre confutabili, come ci insegnano la scienza e la filosofia, ma che sono, nel presente, tutto quello che abbiamo) mina alle basi proprio il concetto di politica e democrazia. Altro che ‘scienza democratica’. La politica è, nel suo senso più alto, una visione del mondo. Che magari si poggia sulla valutazione di quei dati "scientifici" (la realtà insomma), che serve a guidare un insieme di persone nella loro vita. In maniera diversa magari, come diverse sono le idee politiche. D’altro canto non esiste un partito della scienza.
Ma mettere in discussione la realtà scientifica comporta rischi enormi
Ma cancellare il credito a quei dati (alla scienza, quindi alla realtà) è proprio minare alle basi l'idea stessa di politica. Se nulla è credibile, o meglio se tutto vale allo stesso modo, allora non ha nemmeno senso che ci sia qualcuno che cerchi di interpretare la realtà per il bene della collettività.
Se miniamo la credibilità della scienza (che non fa politica, ma spiega la realtà), come potremmo formarci un’opinione? Come potremmo valutare chi ci governa se non ci sono dati, fotografie della realtà su cui discutere? Come potremmo ambire a migliorare un pezzo di realtà se non crediamo più nei dati che ce la raccontano?
Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche in un aforisma diventato piuttosto famoso aveva detto che ‘non esistono più i fatti, ma solo le interpretazioni’. Per alcuni oggi, nell’era della post-verità, stiamo cominciando a sperimentare sulla nostra vita la scomparsa dei fatti. L’oblio della realtà. E non è detto che sia un bene, sicuramente non lo è per la scienza, ma a maggior ragione non lo è per la politica, e per la democrazia.
@arcangeloroc