Per chi mi legge e non mi conosce: lavoro nell’ambito della scienze biomediche da 37 anni… Avendo seguito un percorso che ha attraversato numerosissime tappe – studente, lavoratore, ricercatore di base, poi emigrato per anni in Nord America, professore universitario e direttore di istituti di ricerca e fondatore di startup biotecnologiche – credo di avere una visione prospettica della ricerca in Italia e delle sue peculiarità, spesso positive a dispetto del sistema che la circonda. In occasione della Notte dei Ricercatori, mi sembra interessante proporre alcune brevi, quanto semplici ma utili riflessioni.
Sgombriamo il campo dagli equivoci
Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci. La ricerca italiana non è esclusivamente di altissima qualità. E’ anche una ricerca efficace ed estremamente produttiva, proprio grazie ad alcune caratteristiche tipiche dei nostri scienziati tra le quali spiccano, senza dubbio, perseveranza, impegno e creatività.
Non vi è alcun dubbio che l’italico popolo sia dotato di acume ed ingegno (Leonardo docet), ma vi sono degli aspetti in qualche modo ironici legati a questa situazione, che affonda le sue radici nella tradizione del paese e nella sua storia e attualità. Proprio così: perché vedete, il sistema Italia di certo non favorisce lo sviluppo della ricerca, anche se le cose cambiano, seppur lentamente.
Ricercatori vittime del 'burosauro'
Il fatto che, dati alla mano, l’investimento del paese in ricerca sia enormemente inferiore a quello dei paesi industrializzati (ed anche ad alcuni paesi che sviluppati non sono) è solo la punta dell’iceberg. Il ricercatore italiano si scontra ogni giorno con regole amministrative e regolamenti che non solo travalicano ogni logica, ma che ammontano ad un numero enorme e che sono spesso in conflitto tra loro.
Gestire i miseri fondi a disposizione diventa impossibile quando il “burosauro” li divora. Aggiungete strutture spesso (grazie a Dio non sempre) obsolete, strumenti che invecchiano, condite con ricambio generazionale essenzialmente inesistente e servite su piatto di nepotismi, assenze di meritocrazia e “passatina” di conflitti ideologici e interessi vari, dovreste avere servito una ricerca annichilita e inesistente.
Difficoltà stimolano il genio
Eppure, vi assicuro, le cose stanno come ho scritto all’inizio, la ricerca italiana è di eccellenza assoluta. E credo che, almeno in parte, questo sia dovuto, oltre alla stamina del nostro ricercatore, anche alle difficoltà, di cui sopra, che finiscono per stimolare il genio. Lungi da me il proporre di perpetuare questo stato di cose, ma è un dato di fatto che in uno scenario difficile come quello del nostro paese, il ricercatore sviluppa un’incredibile capacità di trovare soluzioni alternative e, di necessità, innovative, nonché, per coloro che riescono a sopravvivere, un’attitudine al duro lavoro e alla perseveranza che raramente hanno eguali.
Gli italiani si scatenano all'estero
Quando trapiantati in un sistema funzionante, quale quello della ricerca nei paesi dell’Unione Europea o Nordamericani, questa splendida combinazione di caratteristiche si scatena, rendendo il ricercatore italiano uno dei più stimati e produttivi a livello internazionale. E allora mi chiedo: se ricercatori posti in condizioni proibitive come le nostre sono in grado di produrre scienza ai massimi livelli, trial clinici che altri paesi si sognano e terapie innovative uniche al mondo, cosa succederebbe se il paese investisse seriamente in ricerca?
Italia a rischio di implosione
Le cose cambiano ma ad un ritmo troppo lento. Spiace doverlo ammettere, ma siamo a rischio d’implosione. Urge un cambio delle regole tanto drastico e rapido, quanto efficace. O forse no, non basta. Non è questa la sede per una discussione approfondita ma mi permetto di provocare, per il piacere di alimentare una discussione utile e positiva. Il sistema ricerca cosi com’è non è direttamente riformabile, perlomeno in tempi tecnicamente utili. Si può migliorare, rendere più efficiente ma bisogna proporre situazioni idiosincratiche, non convenzionali.
Ecco la proposta, forse una provocazione
Che ne pensiamo di creare, per esempio, zone franche per la ricerca? Zone con regole amministrative più agili, efficienti, regimi fiscali privilegiati, criteri di selezione ed assunzione meritocratici, gestiti e monitorizza da “boards” di scienziati e tecnici dell’economia, finanza ed amministrazione di profilo internazionale.
Sistemi a macchia di leopardo che funzionano in base a criteri di stretta efficienza, monitorizzati su basi periodiche che ne valutino la produttività, modificandoli, spegnendoli o rilanciandoli in base alla necessità oggettiva ed in un regime di piena e totale trasparenza – astenersi interessi politici, di parte, ideologici e di potere, prego. Forse, nel giro di pochi anni, la conoscenza, proprietà intellettuale e cultura generati in queste “macchie” potrebbero percolare e diffondersi ed il leopardo diventare pantera….
In tutto questo i giovani, di rientro dall’estero o i più promettenti, creativi capaci e dotati, dovrebbero avere un ruolo di primissimo piano, ovvio.
La discussione è aperta
È una provocazione, signori, ma anche un abbozzo di progetto almeno in parte innovativo che lancio in pasto alla discussione, conscio che verrò crocifisso e seppellito da una pletora di critiche (se mi va bene – sorrisone) saluto tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere fino a qua. Per quanto mi riguarda, io ho già provato a muovermi in questo senso. Ve ne parlerò nelle prossime puntate.
L’Italia è un bel paese, i suoi giovani ricercatori sono ancor più belli… teniamoceli stretti, dopo averli mandati in giro per il mondo a fare esperienza…of course!