È possibile spostare l’unità di informazione quantistica (qubit) da un punto ad un altro e avviare così la rivoluzione del computer quantistico. Un gruppo di ricercatori allo Yale Quantum Institute ha infatti annunciato in un articolo su Nature Physics di essere riusciti a “lanciare” un qubit da un certo punto in una cavità a microonde a un altro punto in una diversa cavità a microonde. È il primo esempio di trasmissione quantistica ottenuta per questo tipo di ricerca. Si tratta di un processo estremamente delicato, perché facilmente l’informazione quantistica potrebbe distruggersi, invalidando qualsiasi processo di elaborazione, ma che può aprire la strada alla messa a punto di un vero e proprio computer quantistico, basato cioè proprio sulle leggi della fisica quantistica.
L’infinitamente piccolo trova la sua migliore rappresentazione nella meccanica quantistica che descrive quel mondo come il regno sovrano dell’indeterminazione. Ad esempio, non è possibile conoscere contemporaneamente (e senza incertezza) la posizione e la velocità di un elettrone nel suo moto. L’atto stesso della misura modifica lo stato della particella perché esso interferisce con quest’ultimo. È sufficiente anche la sua semplice osservazione a cambiare le cose!
Lo stato di un sistema è stabilito dalla cosiddetta “funzione d’onda” che è una misura dell’ampiezza di probabilità di osservare quel sistema in un certo stato. Le possibili configurazioni in cui può trovarsi un sistema perdono ogni certezza e lo stato di quest’ultimo sarà descritto dalla sovrapposizione di tutti i suoi possibili stati. Sarà l’atto della misurazione a far “collassare” la funzione d’onda “complessiva” in uno solo degli stati permessi.
Il gatto di Schrödinger
Un famoso paradosso spiega bene la situazione. Se chiudo in una scatola una gatto e un apparato che, al cinquanta percento delle probabilità, può liberare o meno un gas venefico, dopo un certo tempo per l’osservatore esterno che si domanderà in quale stato possa trovarsi il gatto (senza aprire la scatola) la risposta sarà: “Il gatto rimarrà in uno stato di sovrapposizione tra quello di vita e quello di morte”. Tradotto, la povera bestiola sarà viva e morta allo stesso tempo! Questo perché la funzione d’onda del gatto è data dalla somma delle funzioni dei due stati distinti, con la loro probabilità. Solo l’apertura della scatola, e quindi l’interferenza prodotta dall’osservazione sul sistema osservato, farà “collassare” la funzione d’onda in uno solo dei due stati possibili.
L’entanglement
Ma la meccanica quantistica nasconde aspetti ancora più surreali. Due particelle che nella loro storia hanno inizialmente avuto modo di interagire reciprocamente, anche se alla fine delle loro traiettorie si troveranno agli estremi opposti dell’universo, ciò che accadrà all’una, in modo complementare e istantaneo accadrà anche all’altra, in barba ai principi di causalità. Questo fenomeno incredibile, che sembrerebbe una porta aperta agli studi sul teletrasporto, è stato verificato sperimentalmente e prende il nome di “entanglement” (correlazione non classica).
Dal bit al qubit
Ci si domanderà cosa c’entri tutto questo con i computer. Soprattutto cosa c’entri il paradosso del gatto (detto di Schrödinger) e l’entanglement... Beh, si è trattato di una premessa necessaria!
L’unità fondamentale di informazione che viene utilizzata nei computer si chiama bit e corrisponde a una logica a due stati “on/off” (o anche “sì/no”, “chiuso/aperto”), codificata con un valore “1” oppure “0”. La corrispondente unità di informazione quantistica si chiama “qubit” (quantum bit). E in questo caso si aprono prospettive che nella situazione più classica a due stati (0 o 1) non si potranno mai avere. Perché, per quanto detto all’inizio, in meccanica quantistica non si può parlare di stati definiti ma della loro sovrapposizione in relazione alle probabilità di ciascuno di essi. E il qubit non si sottrae a questa regola, perché esso risponderà in base allo stato quantistico in cui si troverà una particella (o un atomo) che si comporterà come il famoso gatto, addirittura fornendo contemporaneamente sia lo stato “0” che lo stato “1” (oppure un 45% di “1” e un 55% di “0”, o anche un 20% di “1” e un 80% di “0”, e così via).
Il vantaggio di questa logica è che sarà possibile risolvere problemi complessi con una rapidità straordinaria analizzando tutti i possibili scenari con una contemporaneità oggi davvero impensabile: non si affronteranno procedure di calcolo in modo sequenziale, come avviene prevalentemente ora (che allunga i tempi di esecuzione) bensì in modo parallelo basandosi su processi quantistici e non su architetture logiche dedicate.
Computer quantistici dedicati
In realtà, già esisterebbero macchine che lavorano su processi quantistici, come ad esempio quelle fornite dalla D–Wave Systems. Ma questi computer vengono chiamati “quantum annealer”, cioè computer che sono dedicati a uno specifico problema ma che devono anche essere ottimizzati al massimo per poter fornire la soluzione di quel problema. Non esiste ancora un computer quantistico che possa affrontare qualsiasi tipo di problema, un computer come si dice, generalista.
La strada verso la quantum information
È di qualche giorno fa la pubblicazione di un articolo su Nature Physics (C. Axline et al. – On-demand quantum state transfer and entanglement between remote microwave cavity memories) che mostra un altro passo importante nel raggiungimento dell’obiettivo finale, ottenuto allo Yale Quantum Institute. Per avere una adeguata potenza di elaborazione, determinante come in qualsiasi computer, i qubit devono essere interfacciati l’uno con l’altro, proprio come se fossero unità di elaborazione classica collegati in una sorta di rete locale, utilizzando una tecnica chiamata “pitch and catch”, ovvero “lancia e cattura”. Nei laboratori si è infatti riusciti a “lanciare” un qubit da un certo punto in una cavità a microonde a un altro punto in una diversa cavità a microonde. È il primo esempio di trasmissione quantistica ottenuta per questo tipo di ricerca.
Si tratta di un processo estremamente delicato, perché facilmente l’informazione quantistica potrebbe distruggersi, invalidando qualsiasi processo di elaborazione. Due sono le condizioni fondamentali per la stabilità richiesta: abbassare il rumore termico (portando il sistema quasi a – 273 °C) e utilizzare cavità superconduttrici. Inoltre, è necessario accordare con molta attenzione il processo di lancio e di cattura per raggiungere una sincronizzazione ottimale.
Le cavità superconduttrici al momento sembrano essere i candidati più validi all’immagazzinamento dell’informazione quantistica, “modellandosi” anche in base alla tipologia di quest’ultima. Ma tra i qubit deve stabilirsi una correlazione molto stretta, proprio come le particelle dell’esempio precedente. E infatti, per questo motivo viene sfruttato l’effetto dell’entanglement quantistico, come recita il titolo stesso dell’articolo citato. Tra il lancio e la cattura deve crearsi questo stato entangled, nel senso che lo stato potrebbe essere contemporaneamente di “lanciato e non lanciato”, nel rispetto di quanto detto sulla sovrapposizione di stati.
L’intelligenza artificiale
L’avvento degli elaboratori quantistici favorirà lo sviluppo dell’intelligenza artificiale? È lecito pensarlo. Non parliamo dell’intelligenza artificiale limitata, che è dedicata alla risoluzione di un singolo problema, bensì di quella definita “superintelligenza”, in grado di effettuare compiti in modo indipendente con capacità superiore a quella umana.
Un esperimento condotto da Facebook poco meno di un anno fa, indirizzato proprio allo studio dell’intelligenza artificiale, ha creato molta inquietudine. In pratica, si stava insegnando a due computer a dialogare tra loro. Poco dopo, i due sistemi hanno modificato in modo indipendente la lingua utilizzata con lo scopo di semplificare la comunicazione reciproca e hanno cominciato a parlarsi in una lingua sconosciuta, incomprensibile agli umani. Cosa che ha spaventato i tecnici, che hanno preferito spegnere le macchine. Si dice sia stato un banale errore di programmazione ma a molti è parso un segnale preoccupante, che getterebbe una luce sinistra sulla cosiddetta “singolarità tecnologica”, l’avvento della superintelligenza, prevista per il 2060.
In effetti, a prescindere dall’esempio riportato, sono in molti a ritenere lo sviluppo della superintelligenza un problema serio, soprattutto per il controllo di armamenti. Nick Bostrom, filosofo e fisico, docente alla Oxford University e fondatore del Future of Humanity Institute (dirige anche lo Strategic Artificial Intelligence Research Center) descrive molto bene la situazione e mette in guardia sui possibili pericoli con un bel libro pubblicato per i tipi della Bollati Boringhieri agli inizi di quest’anno, dal titolo inequivocabile: “Superintelligenza”. Tra l’altro, egli è firmatario di una famosa lettera del 2015 che solleva proprio la questione delle armi nell’ottica dell’intelligenza artificiale. Tra gli altri firmatari, scopriamo nomi eccellenti, come Stephen Hawking, Steve Wozniak, Elon Musk, Noam Chomsky.
La superintelligenza come la nuova bomba atomica, come paventa qualcuno? Forse no, sicuramente potrà risolvere molti problemi e semplificare la nostra vita, migliorarla anche (pensiamo allo sviluppo della chimica farmaceutica). Ma bisognerà comunque essere in grado di poter “staccare a spina” in qualsiasi momento, qualora fosse necessario, come hanno fatto i tecnici di Facebook, senza per questo far collassare l’intero sistema sociale. Già oggi la nostra dipendenza dalla rete informatica è fin troppo stretta. Questo per evitare scenari apocalittici evocati da una certa filmografia, dalla saga di Terminator a quella di Matrix.
E senza considerare, come già qualcuno sta prendendo seriamente in esame, che noi stessi e il nostro mondo potremmo essere già il prodotto di una simulazione generata al computer, il migliore dei computer quantistici possibile...