Quando studiavo all’università ‒ e questo accadeva un significativo numero di decenni orsono ‒ si diceva che la battaglia tecnologica del futuro si sarebbe combattuta sul fronte della computazione elettronica e su quello dell’accumulo energetico (in pratica, nel settore delle batterie). A quel tempo, forse non si sospettava che i due fronti avessero molto in comune.
Al recente Consumer Electronic Show di Las Vegas (CES2020), da una collaborazione con Daimler, IBM ha mostrato ‒ fra le altre cose ‒ come la potenza di calcolo offerta da un computer quantistico possa essere utilizzata per migliorare e ottimizzare le prestazioni delle nuove batterie, quelle a Litio‒Zolfo (Li‒S), una svolta nella realizzazione degli accumulatori di prossima generazione che sarebbero più potenti, più duraturi e più economici rispetto a quelli in uso.
Noi, che siamo utenti della telefonia mobile stressata da un utilizzo massiccio di applicazioni e di fotocamere, sappiamo bene che la durata della batteria rappresenta una condizione discriminante, un punto cruciale. Già è stato un bel passo avanti il passaggio dalle batterie nichel‒metallo idruro (NiMH) a quelle a ioni di litio (Li‒Ion), purché in questo caso rispettosi ‒ come in genere suggerito ‒ di un corretto ciclo di carica‒scarica (non al disotto del 20% e non superiore all’80‒90%). E in futuro, quando l’autotrazione elettrica sarà maggiormente diffusa e la capacità delle batterie si misurerà sempre di più in autonomia chilometrica, la tecnologia dell’accumulo elettrico fornirà il vero trampolino di lancio per l’ingresso massiccio di questa tipologia di vetture nell’uso quotidiano, a beneficio nostro e dell’ambiente in cui viviamo. Con le batterie Li‒S, l’autonomia prevista si potrebbe estendere fino a un migliaio di chilometri.
I legami tra computazione quantistica e accumulo energetico
Cosa collega però la computazione quantistica all’accumulo energetico, in particolare allo studio della tecnologia Litio‒Zolfo? Il problema è essenzialmente legato alla chimica o meglio, allo studio di come certe molecole distribuiscono la loro carica elettrica nei diversi legami. Il fatto che più atomi si uniscano in strutture molecolari può rendere asimmetrica la distribuzione delle cariche negative (elettroni) rispetto a quelle positive presenti nel nucleo (protoni). Ciò crea quello che viene definito momento di dipolo o momento dipolare. Lo studio di questi ultimi risulta fondamentale nella progettazione e nella creazione di nuove molecole, sia nel settore strettamente tecnologico che in quello farmaceutico.
La simulazione molecolare è un aspetto fondamentale della ricerca computazionale ed esige una notevole capacità di calcolo, perché si tratta, come si può intuire, di superare notevoli difficoltà nella modellazione matematica.
Nel documento IBM (Rice J. E. et al. ‒ Quantum Chemistry Simulations of Dominant Products in Lithium-Sulfur Batteries, arXiv:2001.01120v1, Jan 4, 2020) sono state simulate le energie dello stato fondamentale e i momenti di dipolo delle molecole che potrebbero formarsi nelle batterie al litio-zolfo durante il loro funzionamento. Studiare questi processi permetterebbe di creare condizioni per l’ottimizzazione della batteria e l’aumento della relativa efficienza (in durata e in potenza).
Per questa tipologia di calcolo, la computazione classica appare molto limitata. L’utilizzo dei computer quantistici dedicati a questo problema è risultato estremamente vantaggioso. IBM ha sviluppato la simulazione utilizzando un computer quantistico a quattro qubit (quantum bit, unità fondamentale di informazione nei computer quantistici ‒ v. mia nota “Un altro passo verso il computer quantistico”, agosto 2018) confrontando poi questo risultato con un simulatore quantistico su macchina convenzionale IBM e verificando in tal modo la bontà del calcolo.
Un qubit si differenzia dal bit normale ‒ che presenta solo due stati, 0 e 1 ‒ dal fatto che esso può assumere diverse combinazioni di valori. Le operazioni di logica quantistica su quattro qubit, in condizioni di precisione e di efficienza vantaggiose, consentono la lettura simultanea di 24 = 16 combinazioni di risultati dello stato dei quattro qubit.
IBM ha esteso i campi di applicazioni della computazione quantistica a diverse altre strutture, sia industriali che di ricerca, offrendo la grande capacità della sua rete di calcolo quantistico IBM Q Network, assieme alla potenza del più grande computer quantistico finora realizzato, quello a “Quantum Volume” più elevato, che utilizza ben 53 qubit.
Da una collaborazione con la Delta Airlines, ha annunciato che i loro computer quantistici saranno utilizzati per rendere la vita dei passeggeri nelle giornate di viaggio meno stressata e più confortevole.
Il dilemma della Singolarità
Un mio pensiero. È indubbio che la tecnologia della computazione quantistica stia facendo in questi ultimi anni passi in avanti davvero notevoli, quasi superiori alla legge di Moore, che prevede il raddoppio della potenza dei processori ogni due anni circa. Non si è ancora raggiunto il computer quantistico “generalista” in grado di affrontare qualsiasi tipologia di problema, ma la linea di sviluppo sembra ormai ben disegnata.
E da qui, probabilmente l’avvento dell’intelligenza artificiale sarà ancora meno lontano. Ma se oggi buona parte del nostro quotidiano è affidata ai computer e alle reti cui sono collegati e che li gestiscono, cosa sarà la nostra esistenza una volta affidata a una rete di intelligenza artificiale? E soprattutto, quanto essa sarà intelligente?
Viene chiamato Singolarità (tecnologica) il superamento della capacità intellettiva umana nella combinazione dello sviluppo di tre settori della ricerca che sono già in rapida espansione; genetica, nanotecnologie e robotica, comprensiva quest’ultima dell’intelligenza artificiale. Perché sarà proprio questa a sviluppare e a moltiplicare le potenzialità delle prime tre.
Il vantaggio per l’uomo non è messo in discussione. Si otterranno risultati sorprendenti nella medicina, nella cura delle malattie, la nostra vita si allungherà, raggiungeremo insospettabili traguardi tecnologici, già ma...
Sarà un bene per l’umanità essere gestita da una rete di computer più intelligenti dell’umanità stessa?
Ricordo sempre un racconto fulminante di fantascienza scritto da Fredric Brown (“Answer”, del 1954). Egli descrive il giorno in cui si inaugura il collegamento di una rete di supercomputer distribuiti su novantasei miliardi di pianeti, quelli dell’intero universo dotati di vita intelligente.
Il Grande Sapiente si presenta al terminale della macchina per porre la domanda cruciale: “Esiste un Dio?”. La macchina, senza alcuna esitazione, risponde: “Sì, adesso un Dio esiste!”
Comprendendo la portata e le conseguenze della risposta, il Grande Sacerdote si lancia sul terminale nel tentativo di staccare la corrente abbassando l’interruttore. Un lampo dal cielo lo fulmina in quell’istante, fondendo e saldando per sempre l’interruttore.
Ecco, diciamo che io temo un po’ la risposta: “Yes, now there is a God!”...