La campagna sperimentale inaugurata ai primi di ottobre di quest’anno si chiama PADME (Positron Annihilation into Dark Matter Experiment, esperimento di annichilazione di positroni nella materia oscura) e inizierà la presa dati presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. L’obiettivo è ambizioso: cercare di spiegare cosa sia la materia che occupa oltre l’ottanta percento di quello che esiste nell’universo e che noi non riusciamo neppure a osservare, a rivelare: la cosiddetta materia oscura.
Tutto ciò che compone la materia di cui abbiamo esperienza, pianeti, stelle, galassie, noi stessi, costituisce infatti solo un misero cinque percento del tutto. Questo esperimento si basa sull’ipotesi che esista un fratello “pesante” della particella (il “quanto”) che identifica il campo elettromagnetico (come la luce che noi percepiamo), il fotone. E con poco sforzo di fantasia, questa particella più pesante del fotone ordinario è stata chiamata “fotone oscuro”. L’esperimento PADME è stato pensato proprio per cercare questo messaggero tra il nostro mondo e quello della materia oscura.
C’è di più. L’eventuale conferma della sua esistenza aggiungerebbe forse un nuovo capitolo al libro che descrive tutta la fisica in base alle cosiddette forze (o interazioni) fondamentali, che sono quattro. Due di queste, la forza gravitazionale e quella elettromagnetica, rientrano nella nostra esperienza diretta quotidiana, la prima tramite la gravità, la seconda ad esempio con il fenomeno dell’emissione della luce, o anche per mezzo dei fenomeni elettrici e così via.
Le altre due interazioni appaiono più “nascoste”. La forza più intensa delle quattro è quella nucleare “forte”, che garantisce l’esistenza della materia legando strettamente nel nucleo dell’atomo – dove si concentra quasi tutta la massa di quest’ultimo – neutroni e protoni. La forza nucleare “debole” è invece responsabile dei fenomeni radioattivi ed è alla base dei processi nucleari che avvengono nelle stelle come il nostro sole.
La scoperta di questo messaggero, il fotone oscuro, potrebbe corrispondere a una quinta forza fondamentale, a una sorta di “quinta essenza”.
Per evidenziare la sua presenza, si faranno collidere fasci di antielettroni accelerati adeguatamente (i positroni, i corrispondenti in antimateria degli elettroni) con gli elettroni di un bersaglio formato da un sottilissimo strato di diamante artificiale policristallino dello spessore di un decimo di millimetro. Da queste interazioni (con un conteggio stimato di un miliardo di collisioni al secondo) si ritiene di poter osservare l’emissione di questo fotone oscuro pesante, dotato di una piccolissima massa, prodotta assieme a un altro fotone “convenzionale”.
L’esperienza, che non si avvale di apparati giganteschi come una certa fisica sperimentale ci ha abituati a osservare (pensiamo al Large Hadron Collider del CERN, un anello lungo 27 chilometri), sarà attiva per alcuni mesi durante i quali verranno registrate tutte queste collisioni, per poi passare alla fase di analisi dei dati raccolti.
Non dovremo aspettare quindi troppo a lungo per avere una risposta all’ipotesi del fotone oscuro. Se questa fosse positiva, estenderemo la nostra conoscenza ben oltre il limite attuale, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Perché sta diventando sempre più chiaro che per comprendere come sia fatto il nostro universo occorra cercare risposte anche nei piccoli laboratori terrestri.