Stanotte la ricerca fa festa. In tutta Europa e anche in 52 città italiane saranno davvero tanti i laboratori, i centri di ricerca, le università che apriranno le loro porte al pubblico. Per un giorno ricercatori, scienziati, laboratori e centri di ricerca saranno al centro di iniziative pubbliche, di dibattiti, di visite.
È un bagno di folla che fa bene alla ricerca e soprattutto ai ricercatori e con loro al Paese. Troppo spesso infatti ci limitiamo ad ammirare i grandi risultati della scienza o restiamo ammirati dalla importanza di certe scoperte, come per esempio quelle sulle onde gravitazionali senza, tuttavia, riflettere mai a sufficienza che la scienza e la ricerca scientifica sono importanti ogni giorno e non solo in certe occasioni. Al di là degli annunci roboanti del superamento delle frontiere dell’umano sapere, è l’attività costante di ricerca svolto in ogni campo di attività - dall’agroalimentare alla medicina, fino all’economia e alla filosofia, passando per la fisica - che il nostro sistema economico riesce a trovare la forza di innovarsi e di essere in grado di sostenere la competizione globale.
Siamo nel G8 della ricerca scientifica
Lontano dai riflettori delle grandi scoperte e delle “Notti dei Ricercatori”, la nostra ricerca rimane una eccellenza troppo spesso trascurata. Come ha ben scritto Giovanni Maga nel suo post su Blog Italia, “la ricerca scientifica è una eccellenza del nostro paese non solo di notte”. I nostri ricercatori riescono infatti a garantire, nel loro complesso, un elevato standard di qualità alla nostra ricerca. Siamo ottavi al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche (più di 1.200.000 pubblicazioni complessive nel periodo 1996-2014), mentre la media di citazioni ottenute da questi lavori è comparabile a quella di Germania e Francia, ed è particolarmente elevata nelle aree dell’ingegneria e della medicina. Tuttavia però sono troppo pochi, rispetto al fabbisogno reale del paese. Le persone impiegate in attività di Ricerca e sviluppo (R&S) sono più di 246.000, un numero troppo basso rispetto al fabbisogno e al confronto europeo, ma in crescita del 2,7 per cento (2013 su 2012, dati ISTAT 2015).
Non abbiamo dunque un sistema che, nonostante le eccellenze non riesce a creare economia intorno alla ricerca e alla scienza. L’Italia continua infatti a essere stabilmente molto lontana dagli obiettivi di spesa indicati in chiave internazionale. Nel 2013 la spesa R&S è stata di circa 21 miliardi di euro, pari all’1,31 per cento del PIL: un dato ancora lontano dall’obiettivo italiano dell’1,53 per cento e dall’obiettivo EU del 3 per cento entro il 2020. Fino ad oggi a pesare su questo indice era la scarsa propensione del mondo industriale ad investire in ricerca. Dal 2015 oltre agli investimenti dei privati, si sono ridotti anche gli investimenti in ricerca anche delle amministrazioni pubbliche. “Nel 2015 - si legge nel Rapporto Istat diminuiscono gli stanziamenti per R&S delle Amministrazioni Centrali, Regioni e Province autonome: i fondi passano da 8.450,4 milioni di euro del 2014 (previsioni di spesa assestate) a 8.266,6 milioni di euro del 2015 (previsioni di spesa iniziali). Per il 2016 è confermata un'ulteriore diminuzione della spesa (-1,4% sul 2015) nelle istituzioni pubbliche”. Da questo punto di vista l’annuncio a maggio scorso del Governo Gentiloni di aver destinato un fondo di due miliardi di euro proprio alla ricerca scientifica è una notizia positiva che però non compensa la perdita complessiva di investimenti.
Non riusciamo a creare economia intorno alla scienza
Scendendo con la lente della statistica sui territori si comprende meglio la chiave del gap che separa l’Italia dagli altri Paesi europei e rende difficile la ripresa del Paese. Eurostat pubblica un interessante report che mostra gli indici di innovazione delle diverse regioni europee. Sulla mappa europea a competere non sono più dunque le singole nazioni ma le regioni che, in alcuni casi coincidono con le grandi aree metropolitane. Le uniche regioni europee che hanno raggiunto la soglia del 3 per cento di investimenti in R&S, sono quelle intorno alle grandi capitali. Il Lazio, dove pure c’è una altissima concentrazione di centri di ricerca e di Università non arriva al 2 per cento. Come del resto fanno anche Toscana, Lombardia, Emilia, Puglia e Campania. Solo il Piemonte investe una quota compresa tra il 2 e il 3 per cento del suo Pil in R&S. Il resto del paese rimane fermo intorno all’uno per cento. Troppo poco davvero, soprattutto considerando che la competizione ormai avviene soprattutto a livello di metropoli e di regioni, più che a livello di singoli stati.