La sequenza sismica ancora in corso ha visto, fino ad ora, tre terremoti principali:
- quello del 24 Agosto 2016, ad Amatrice avente magnitudo momento (MW) 5,97,
- quello del 26 Ottobre 2016, a Visso, con MW 5,87,
- e l’evento del 30 Ottobre 2016, nelle vicinanze di Norcia, con MW 6,33.
La sequenza è stata estremamente produttiva: 9 terremoti con magnitudo locale (ML) maggiore di 5,0; 55 con magnitudo locale tra 4,0 e 4,9, un migliaio con ML tra 3,0 e 3,9; circa 9.000 con ML tra 2.0 e 2.9, e, infine, circa 40.000 con ML tra 1.0 e 1.9.
Ma in passato è andata anche peggio
Studi storici ci dicono tuttavia che che la sequenza di questi mesi non è nemmeno confrontabile con quella del 1703, il cui impatto sul territorio fu sensibilmente più grave di quello che sta emergendo ora. Il 14 Gennaio 1703 la Valnerina fu infatti colpita da un terremoto avente magnitudo momento MW 6,9 che ebbe effetti disastrosi (intensità 11 all’epicentro, praticamente distruzione totale di gran parte dei centri abitati).
Un paio di settimane dopo, il 2 Febbraio 1703, un altro evento catastrofico colpì l’Aquilano, con magnitudo momento MW 6.7 e intensità 10 all’epicentro. Per il recente terremoto di Norcia ho personalmente calcolato una magnitudo momento MW 6.33; ne consegue che gli eventi del 14 Gennaio e del 2 Febbraio 1703 hanno dimensioni circa 10 e 5 volte maggiori, rispettivamente.
La storia sismica delle zone colpite tra il 24 Agosto e il 30 Ottobre 2016 è stata caratterizzata di terremoti sotto elencati (I0 è l’intensità all’epicentro; MCS è l’acronimo di Mercalli-Cancani_Sieberg):
Amatrice:
- luglio 1627 (Accumoli, intensità all’epicentro 7-8; MCS; MW 5.3)
- 7 ottobre 1639 (Amatrice, intensità all’epicentro 9-10; MCS; MW 6.2)
- 1646 (Monti della Laga, intensità all’epicentro 9; MCS, MW 5.9)
- 1672 (Amatrice, intensità all’epicentro 7-8; MCS, MW 5.3).
- Valnerina (localizzazioni prossime a quella del 30 ottobre):
- 1 dicembre 1328 (Valnerina, intensità all’epicentro 10; MCS, MW 6.5);
- 27 giugno 1719 (Valnerina, intensità all’epicentro 8; MCS, MW 5.6);
- 12 maggio 1730 (Valnerina, intensità all’epicentro 9; MCS, MW 6);
- 22 agosto 1859 (Valnerina, intensità all’epicentro 8-9; MCS, MW 5.7).
L’intensità del 26 Ottobre 2016 rappresenta forse il massimo storico.È interessante osservare come le regioni dell’Appennino Centrale e Settentrionale siano sempre interessate da sequenze sismiche con caratteristiche di sciame: aventi, cioè, una serie di terremoti principali.
Più comunemente, le sequenze hanno un solo forte terremoto seguito da una serie di repliche di magnitudo nettamente inferiori a quella dell'evento principale, la cui frequenza si dirada nel tempo in maniera regolare. Nelle sequenze italiane e in special modo in quelle dell' Appennino Centrale e Settentrionale, frequenti e snervanti “riprese” della sismicità, seguono una serie di eventi sismici principali aventi magnitudo tra loro confrontabili
Pensiamo soltanto alla già dimenticata sequenza sismica dell’Umbria-Marche del 1997 (Assisi e Colfiorito), oppure a quella, più recente, di Ferrara-Mirandola del 20-29 Maggio 2012 (anch’essa, come ogni serie italiana di terremoti che si rispetti, viaggia spedita sulla via dell’oblìo). La sequenza sismica dell’Aquilano del 2009 ha pure dimostrato chiare caratteristiche di sciame.
Se pensiamo ad altre sequenze italiane particolarmente importanti, la presenza di più terremoti principali sembra essere una caratteristica piuttosto comune. Basti pensare ai terremoti friulani del 1975 e del 1976, con due eventi di magnitudo momento tra 6,1 e 6,5, o quella molisana di San Giuliano di Puglia del 2002, in cui due terremoti quasi gemelli (MW 5.7) colpirono San Giuliano il 31 Ottobre e il 1 Novembre: qualcuno forse ricorderà che il primo di essi fece strage di bambini.
Abbiamo una precisa idea del motivo per cui le catene dell’Appennino Centrale e Settentionale siano generalmente colpite da sciami sismici. Pensiamo anche che lo stesso meccanismo sia responsabile delle rotture multiple delle sequenze molisana e friulana. Il motivo di questo comportamento sembra essere legato alla presenza o meglio, al movimento, per diffusione, di fluidi ad alta pressione nella crosta appenninica. Questi ultimi hanno origine profonda e sono legati alla subduzione della placca adriatica al di sotto dell’Appennino.