La fiction che va in onda su una nota piattaforma televisiva riporta alla memoria i tragici eventi di trentatré anni fa, quando il peggior incidente nucleare della storia, verificatosi in Ucraina nel 1986, estese i suoi effetti transfrontalieri a mezza Europa.
La scala INES (International Nuclear and radiological Event Scale) è una sorta di “scala Richter” degli eventi nucleari e radiologici, sviluppata alla fine degli anni ’80 dalla IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che ha sede in Vienna. È composta da otto livelli, compreso quello “0” legato a una deviazione di alcuni parametri di funzionamento di un reattore, comunque non significativa per la sicurezza.
Il livello “7” è quello massimo e si riferisce agli eventi catastrofici, con pesanti effetti legati al rilascio di radioattività all’esterno dell’impianto coinvolto. Da tener presente che la scala non è soltanto empirica ma si basa su ben precisi range di dose radioattiva rilasciata (e accumulata) nell’ambiente durante l’evento.
L’incidente di Chernobyl e quello di Fukushima, nel 2011, sono inseriti in questo livello, anche se la dinamica di quest’ultimo è stata molto diversa da quello precedente, che analizzeremo in questo lavoro.
La descrizione del tragico evento è molto complessa (assieme all’incidente di Three Mile Island, negli Stati Uniti nel 1979 e a quello di Fukushima, in Giappone – già citato – esso costituisce buona parte di un corso da me tenuto ormai da molti anni alla Scuola di Specializzazione in Fisica Medica presso l’Università di Tor Vergata di Roma).
Per far sì che la sequenza di ciò che avvenne quella notte fra il 25 e il 26 aprile del 1986 risulti chiara, è necessaria una premessa che spieghi il funzionamento di un reattore nucleare assieme alle sue eventuali problematiche in termini di sicurezza. Ciò suggerisce di dividere questa nota in più parti, soprattutto per evitare che l’argomento possa risultare troppo lungo e troppo pesante. Sarà come legarci alla filosofia della serialità televisiva.
Da dove viene l’energia nucleare
Come in quasi tutti i sistemi che forniscono energia bruciando combustibile di origine fossile e quindi producendo calore, anche nei reattori che “bruciano” combustibile nucleare l’obiettivo ultimo è quello di fornire calore, con una efficienza che però è di molti ordini di grandezza superiore a quella degli impianti convenzionali.
L’energia prodotta da un grammo di combustibile nucleare (densità di energia) è un milione di volte quella prodotta da un grammo di carbone. Tradotto in termini di potenza, una centrale a carbone da 1 GW (gigawatt, un miliardo di watt) richiede 9.000 tonnellate di carburante al giorno; una centrale nucleare equivalente consuma poco meno di 3 chilogrammi di uranio nella stessa quantità di tempo.
Tutta questa energia è contenuta nella somma enorme dei nuclei dell’atomo che costituiscono il combustibile inserito nel nocciolo (core) di un reattore nucleare, che è formato essenzialmente da uranio, nella componente che ospita 92 protoni e 143 neutroni per nucleo (uranio 235 o, in simboli, 235U).
Il nucleo di un atomo ha dimensioni piccolissime, eppure i protoni, che sono tutti portatori di cariche positive, riescono a vincere, grazie alle forze nucleari forti, la reciproca forza di repulsione elettromagnetica, che è 137 volte più piccola della forza nucleare. Se si riuscisse a “spezzare” il nucleo di uranio 235, parte di quella energia che tiene incollato il nucleo verrebbe rilasciata: si avrebbe quindi produzione della cosiddetta energia nucleare, visto che – come si diceva – il materiale che costituisce il combustibile è formato da un numero enorme di atomi di uranio.
E infatti, il nucleo di un atomo pesante come quello di uranio può essere “spezzato”, in talune circostanze. Se un neutrone “libero” riuscisse a penetrare nel suo interno, questo diverrebbe instabile: comincerebbe a oscillare, ad allungarsi fino a diventare come uno dei manubri che si usano in palestra (o anche come una cellula che sta per dividersi), arrivando a separarsi in due parti che mediamente avranno la medesima massa e che si allontaneranno l’una dall’altra per via della fortissima repulsione elettromagnetica (che si trasforma in energia cinetica delle due parti).
Si è dunque arrivati alla fissione nucleare, cioè alla separazione in due frammenti (o prodotti) di fissione del nucleo originario. Tali frammenti non avranno più le stesse caratteristiche fisico–chimiche del nucleo di partenza (e avranno complessivamente una massa inferiore rispetto a quella del nucleo originario: parte di questa massa si è trasformata in energia in base alla nota equivalenza individuata da Einstein fra massa ed energia). L’energia cinetica di questi ultimi contribuirà all’energia prodotta nella fissione, assieme al calore di decadimento di quei frammenti che dovranno liberarsi dell’energia in eccesso attraverso il processo di emissione radioattiva, trasformandosi, in seguito ad altri processi, magari in altri prodotti ancora.
La radioattività è la strada in cui un nucleo che si trova in uno stato di eccesso di energia si libera di questa. Essa si divide in tre diverse modalità e dipende da come è composta la sorgente che la emette:
- Radioattività alfa. È quella più pesante. È emessa da alcuni nuclei radioattivi ed è formata da un nucleo composto da due protoni e due neutroni. Può essere facilmente bloccata anche da un foglio di carta.
- Radioattività beta. È anch’essa di origine materiale, come la precedente. Ed è formata da elettroni. Per bloccarla, occorrerà utilizzare qualcosa di più spesso di un foglio di carta, come ad esempio una sottile lastra metallica.
- Radioattività gamma. È la più penetrante. Non è di origine materiale perché appartiene allo spettro di radiazione elettromagnetica (fotoni) ed è dotata di energia molto elevata. Si può bloccare con spessori adeguati di piombo, di calcestruzzo, di acqua.
La reazione di fissione sarà accompagnata da emissione di radiazione gamma. Ma non solo.
Abbiamo detto che l’energia nucleare viene prodotta dalla fissione di un nucleo pesante come quello dell’uranio che ha 235 fra neutroni e protoni, provocata dalla cattura di un neutrone che penetra nel suo nucleo e lo divide in due parti. Se fosse solo questo, si avrebbe una certa difficoltà a mantenere costante una reazione nucleare.
Il fatto è che, durante la scissione del nucleo originario, vengono emessi altri neutroni: a volte due, a volte tre.. Sotto opportune condizioni, ognuno di questi neutroni potrebbe essere catturato da altri nuclei di uranio provocandone la fissione e quindi l’ulteriore emissione di altri neutroni, in un processo a cascata che viene chiamato reazione a catena.
Da un neutrone di partenza, infatti, immaginiamo di passare a produrne due in prima generazione. Ognuno di questi ne potrà poi produrne (in base alla probabilità di cattura da parte dei nuclei interessati) altri due, ottenendone quattro, poi otto e così via... Il nocciolo di un reattore è un luogo estremamente denso di neutroni! Alcuni di questi vengono emessi in modo quasi istantaneo rispetto alla reazione di fissione (si chiamano neutroni pronti) altri potrebbero essere emessi anche dopo qualche secondo (neutroni ritardati).
Questa distinzione fra neutroni pronti e neutroni ritardati sarà molto importante per comprendere nel dettaglio la dinamica degli eventi accaduti nell’aprile del 1986 al reattore di Chernobyl. Per i neutroni ritardati, si fa riferimento alla cosiddetta frazione beta (dei neutroni ritardati). Più del 99% dei neutroni emessi in una reazione nucleare appartiene alla famiglia dei neutroni pronti, il rimanente 0.65% a quella dei neutroni ritardati, emessi nei decadimenti successivi dai prodotti di fissione tramite il rilascio nel processo di liberazione dell’energia nella radioattività beta.
Un reattore nucleare funziona sul controllo legato a quest’ultima percentuale di neutroni, perché quelli pronti vengono emessi con una rapidità tale che nessuna elettronica della più sofisticata strumentazione di controllo potrebbe mai seguire e quindi controllare nel processo. Questo 0.65% è il margine tra il non funzionamento di un reattore e il suo funzionamento che però sfugge a ogni controllo.
Affinché una reazione nucleare possa autosostenersi, sono necessarie alcune condizioni fondamentali. Tra queste, due sono determinanti: la massa totale del combustibile e la sua disposizione geometrica all’interno del nocciolo. Il valore della cosiddetta massa critica fa riferimento alle condizioni tali per cui le reazioni nucleari possano autosostenersi (per un reattore, sempre sulla base del controllo dei neutroni ritardati).
Quando un reattore è definito critico, vuol dire che si sono raggiunte le condizioni per cui la reazione si autososterrà: il numero dei neutroni è stazionario, quelli prodotti eguagliano il numero dei neutroni che sfuggono via e la potenza sarà stabile. In condizioni di sottocriticità, il numero di neutroni diminuirà progressivamente; in situazione di sovracriticità, il numero dei neutroni tenderà invece ad aumentare, a divergere.
L’esempio della vasca da bagno renderà meglio l’idea. Ci sono due modi per mantenere costante il livello di acqua in una vasca da bagno: inserire il tappo e aprire il rubinetto fino a quando il livello desiderato non sarà raggiunto. Avremo in questo caso una situazione di equilibrio statico: niente acqua entra e niente acqua esce. L’altro modo è più dispendioso (ed è un terribile spreco!): non si inserisce il tappo e si tiene aperto il rubinetto in modo che la quantità di acqua in ingresso compensi quella in uscita dallo scarico.
Finché la quantità di acqua in ingresso non sarà sufficiente, il livello di acqua scenderà e la vasca da bagno sarà in condizioni di sottocriticità. Appena il livello desiderato sarà raggiunto, si regolerà l’ingresso di acqua in modo tale da bilanciare esattamente quella che esce dallo scarico. Il livello di acqua allora rimarrà costante, o meglio sarà in regime stazionario: la vasca da bagno è dunque in condizioni di criticità. Lascio al lettore immaginare ciò che potrebbe significare la condizione di “vasca da bagno sovracritica” (se ne accorgerà presto l’inquilino del piano di sotto!)
Un reattore si definisce pronto critico quando la sua reazione viene gestita in massima parte dai neutroni pronti: in una pericolosa situazione del genere, non potendo essere più controllato dai sistemi di controllo, esso può arrivare a distruggersi.
C’è da sottolineare che un reattore sovracritico non è necessariamente in condizioni di pronta criticità. Il reattore di Chernobyl, per la scarsa preparazione dei tecnici presenti e per una serie di fatali errori da questi commessi, è stato portato in condizioni tali da diventare pronto critico durante l’allestimento di un esperimento.
Avremo modo di riparlarne.