Secondo le analisi di diversi osservatori indipendenti, il sistema sanitario italiano è uno dei migliori al mondo perché in grado di fornire assistenza sanitaria di buona qualità e accessibile a tutti. Pur tenendo conto che gli standard del servizio non sono egualmente elevati nelle diverse regioni, possiamo complessivamente essere orgogliosi del nostro sistema sanitario.
Il principio in base al quale è necessario garantire un livello adeguato di cure a tutti i cittadini è un primato civile e culturale che ci è riconosciuto al livello internazionale: è importante continuare a lavorare per salvaguardarlo e per renderlo omogeneamente di elevata qualità.
Un passo decisivo in questa direzione si è certamente fatto con la legge sullo screening neonatale esteso, approvata un anno fa e attualmente in corso di implementazione su tutto il territorio nazionale. Grazie a questa legge è possibile oggi effettuare l’identificazione in epoca neonatale di più di 40 patologie metaboliche ereditarie.
Ma si può fare di più e meglio. Tra i prossimi obiettivi dovrebbe esserci quello di realizzare lo screening neonatale per l’atrofia muscolare spinale. L’obiettivo dei metodi di screening neonatale è quello di individuare patologie potenzialmente trattabili, ma non clinicamente evidenti nella fase neonatale. Questo, concretamente, significa intervenire tempestivamente e prevenire, o limitare sostanzialmente, le conseguenze, in alcuni casi molto gravi, di malattie che altrimenti sarebbero diagnosticate solo quando è troppo tardi.
I criteri adottati, con declinazioni specifiche diverse in base al paese, per la realizzazione di un programma di screening su tutta la popolazione, prevedono, oltre all’esistenza di una terapia, anche, comprensibilmente, considerazioni relative alla sostenibilità economica dei metodi diagnostici utilizzati.
Ciò ha fatto sì che tradizionalmente i programmi di screening neonatale riguardassero malattie individuabili tramite test biochimici a basso costo, come nel caso della fibrosi cistica e di malattie perlopiù di origine metabolica.
Ma ciò che emerge in questi anni è uno scenario in rapida evoluzione. La ricerca ha portato a registrazione terapie innovative per malattie pediatriche ritenute per lunghissimo tempo incurabili e l’avanzamento della tecnologia diagnostica ha esteso le categorie delle patologie potenzialmente oggetto di screening su tutti i neonati. Le politiche per lo screening neonatale in un paese come l’Italia devono essere al passo con questa realtà.
In poche parole, se c’è una terapia di comprovata efficacia, un metodo relativamente semplice per individuarla e l’evidente vantaggio di un intervento precoce, non è accettabile che anche un solo neonato non possa accedervi. Questo sta per diventare realtà per l’immunodeficienza Ada-scid, che non è più la malattia dei “bimbi nella bolla”, ma un difetto genetico individuabile e curabile, e, auspicabilmente, sarà così nel prossimo futuro per una patologia terribile come la leucodistrofia metacromatica, nel momento in cui anche la terapia genica, che esiste ed è efficace contro questa patologia, uscirà dalla dimensione sperimentale e sarà disponibile nella pratica medica.
Questo deve diventare realtà anche per l’atrofia muscolare spinale. La Sma è una malattia neuromuscolare che, nelle sue forme più gravi, si manifesta nei primissimi mesi di vita, compromette l’acquisizione delle capacità motorie, la deglutizione e la respirazione. È una malattia rara, ma costituisce la principale causa genetica di mortalità infantile e ha un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti e delle famiglie.
È una malattia per cui, oggi, esiste un farmaco dalla straordinaria efficacia, soprattutto se somministrato precocemente, idealmente prima che il bambino inizi a sviluppare i sintomi della malattia. Per la Sma esiste anche un test che soddisfa i criteri di sostenibilità per l’applicazione in un programma di screening neonatale. Che cosa stiamo aspettando?