Non avrei mai immaginato che esperimenti eseguiti nell’estate del 2008, volti a testare in laboratorio un nuovo approccio per rigenerare il cuore dopo un infarto, mi avrebbero indotto, dopo 8 anni di studi, a coniare la parola “ristoceutica” un neologismo sincratico da ristorazione e nutraceutica. La ristoceutica, per la prima volta celebrata alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa in occasione della Notte Europea dei Ricercatori in Toscana 2018, è una nuova linea di ricerca che vuole utilizzare le più recenti biotecnologie per generare un pasto funzionale ovvero un’associazione di diversi alimenti funzionali che migliorano lo stato di salute dell’uomo grazie al loro contenuto in composti biologicamente attivi.
Chi è il ristoceuta
Il ristoceuta è lo scienziato che si lascia contaminare da diverse conoscenze provenienti dal mondo della biomedicina e delle biotecnologie, come da quello delle agrobioscienze e delle scienze dell’alimentazione. Egli dovrà saper dialogare con i medici e i produttori agroalimentari e si dovrà dedicare allo studio:
- dell’interazione tra diversi alimenti funzionali (al fine di favorire sicure sinergie piuttosto che pericolosi antagonismi),
- degli effetti delle tecniche di conservazione e cottura sui composti nutraceutici presenti negli alimenti funzionali (al fine di mantenerne le concentrazioni efficaci),
- delle interazioni tra i nutraceutici epigeneticamente attivi degli alimenti funzionali e i farmaci o le comorbidità degli individui.
I ricercatori del Trancrilab dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa hanno dimostrato che i composti biologicamente attivi e commestibili, come il beta-glucano d’orzo, i sulforafani delle crucifere, i polifenoli, come quelli dell’ olio extravergine d’oliva, del cacao, delle mele del Casentino o del pomodoro nero, gli omega-3 del pesce azzurro o delle noci, i microRNA delle bacche d’uva Sangiovese e l’acido lipoico del grano antico biofortificato con ferro e zinco mediano reazioni chimiche dose-dipendenti a livello del DNA e/o degli istoni che favoriscono l’espressione di geni protettivi negli organi vitali, come il cuore e il cervello.
I menù funzionali
In occasione di RistoHealth, il primo showcooking funzionale che ha visto la ristoceutica trasferirsi dai laboratori ai fornelli della notte europea dei ricercatori, il professore di cucina Innocente Galluzzi dell’IPSSEOA di Polignano a Mare, insieme ai suoi collaboratori, ha fatto toccare con mano, e non solo, un gustoso menù funzionale che attinge alle più recenti scoperte scientifiche. Come hanno testimoniato i membri del panel test, che hanno esplorato in anteprima i nuovi piatti composti fino a 8 alicamenti, un menù funzionale che tutela la salute è ricco di sapori, odori, consistenze e colori, pur non richiedendo un surplus di calorie.
Gli effetti cardioprotettivi dell'acido ialuronico, butirrico e retinoico
Ma torniamo a quel caldo agosto del 2008, quando tutti i laboratori del mondo testavano l’effetto terapeutico delle cellule staminali nei cuori infartuati. E’ un giorno di agosto quello in cui mi accingo a osservare gli effetti cardioprotettivi della somministrazione di un triestere di acido ialuronico, butirrico e retinoico. La risonanza magnetica cardiaca, dopo 4 settimane dall’infarto, rivelava che il cuore trattato non si era scompensato e presentava una cicatrice molto più piccola di quella di un cuore non trattato, senza ricorrere al trapianto di cellule staminali.
Per la prima volta, quella notte, osservai gli effetti cardioprotettivi di composti simili a quelli che ritroviamo in alimenti convenzionali, come l’acido butirrico contenuto nel grasso del latte o sintetizzato dal microbiota a partire dalle fibre alimentari e l’acido retinoico dei vegetali a colorazione giallo-arancione, e che sono sintetizzati esclusivamente dal nostro corpo, come l’acido ialuronico, dopo l’ingestione di cibi ricchi di magnesio (tuberi amidacei, mandorle), zinco (ostriche, frutti di mare, carne rossa, cereali biofortificati), isoflavonoidi (legumi vari, finocchio) e vitamina C (peperoncino, melograno, cedro, limone, arancia, bergamotto).
Nel 2008, quel cocktail di composti da me somministrati avevano favorito un’aumentata espressione di fattori di crescita cardioprotettivi in modo epigenetico ovvero aumentando i livelli di acetilazione degli istoni della cromatina. Una novità che sorprese me e scandalizzò la maggior parte dei membri della comunità scientifica dei cardiologi di ieri, nonostante alcuni cardioscienziati, che non scoraggiavano pubblicamente i numerosi test clinici con le cellule staminali, iniziavano a dedicarsi ad un approccio stem cell-free lontano dai riflettori congressuali.
Oggi la cardioprotezione da inibitori delle istondeacetilasi, anche quelli commestibili, è stata verificata nei laboratori di tutto il mondo e si è guadagnata la fiducia della comunità dei cardiologi americani e dell’impresa farmaceutica, mentre la cardioepigenetica continua ad attrarre gli interessi di migliaia di ricercatori in tutto il mondo.
Il programma di nutraceutical discovery
Quello studio, pubblicato sul prestigioso The Journal of Biological Chemistry con un titolo coraggioso, mi incoraggiò nel 2011 ad attivare un programma di nutraceutical discovery avente come obiettivo la scoperta di naturali inibitori delle istondeacetilasi ad azione cardioprotettiva, come il beta-glucano d’orzo, capaci di agire direttamente sulle cellule del cuore, anche se veicolati da alimenti che possono arricchire il menù di casa nostra, di una scuola o di un ospedale, ma anche quello di un buon ristorante, come la pasta fatta con farina di orzo beta.
Come si dice dalle mie parti, “dove c’è gusto non c’è perdenza” anche se costa tanto sacrificio.