E' di oggi la notizia che una bambina di 4 anni è morta di malaria in Trentino. Un caso assolutamente eccezionale, ma non impossibile. Vediamo perché. La malaria (in origine "mala aria" perché frequente nelle zone paludose) è una malattia sostanzialmente scomparsa dal nostro Paese da oltre 70 anni. Ma per secoli ha costituito una delle maggiori piaghe sanitarie anche in Italia, dove esistevano vaste aree colpite da questa malattia. Gli agenti infettivi sono protozoi unicellulari del genere Plasmodium, parassiti del sangue che vengono trasmessi all'uomo dalla puntura di zanzare del genere Anopheles. Il meccanismo di trasmissione è stato scoperto solo all'inizio del XX secolo, grazie al lavoro del medico inglese Sir Ronald Ross (insignito per questo del Premio Nobel nel 1902) e dello scienziato italiano Giovanni Battista Grassi. Ma altre eccellenze italiane, non ultimo Camillo Golgi, si sono dedicate allo studio di questa temibile malattia.
Perchè la malattia può essere mortale
Il parassita che causa le forme più gravi di malaria è Plasmodium falciparum. Le sue cellule si replicano nei globuli rossi causandone la distruzione. Il sintomo più caratteristico è la febbre alta ricorrente ogni tre (terzana) o quattro (quartana) giorni, in concomitanza con il ciclo replicativo del protozoo. Ma la malaria può essere mortale, non solo per la diminuzione dei globuli rossi, che causa una grave anemia, ma anche perché i detriti delle cellule distrutte possono causare trombi ostruendo i capillari che irrorano il cervello. Si parla in questo caso di malaria cerebrale che porta al coma e alla morte. La forma, purtroppo, che ha colpito la bambina.
Oggi la malaria è diffusa in 91 paesi, soprattutto in Africa dove rappresenta una delle principali cause di morte ed interessa oltre 400 milioni di malati. Per questo la lotta alla malaria è una delle priorità dell'OMS per il Terzo Mondo ed impegna fortemente la comunità scientifica. Esistono farmaci efficaci, sia per la profilassi che per la terapia ed è prossimo l'inizio della sperimentazione di un vaccino. Tuttavia l'eradicazione della malattia è resa molto difficile proprio perché il protozoo si annida in oltre 60 specie di zanzare Anopheles.
Le nostre zanzare non possono trasmetterla
In Italia la malattia non è più presente grazie alla bonifica delle aree paludose che ha di fatto portato all'eliminazione delle zanzare infette che la trasmettevano. Tuttavia, sebbene il Plasmodium non sia più presente stabilmente all'interno delle popolazioni di zanzare italiane, nel nostro Paese circolano ancora specie di Anopheles potenzialmente in grado di trasmetterlo. Questo rende possibile la trasmissione a partire dagli individui infetti, da parte delle zanzare locali. Si tratta però di eventi assolutamente rari, nessuno dal 1997. Invece ogni anno si registrano alcune centinaia di casi importati (6368 nel periodo 2000-2008), sia da Italiani che da migranti, per la maggior parte causati da Plasmodium falciparum, ma con una mortalità però bassa, inferiore all'1%. Nel periodo 2000-2008 si sono registrati infatti solo 27 decessi. Fortunatamente, non sembra che le nostre zanzare siano in grado di trasmettere il patogeno più virulento, ovvero Plasmodium falciparum.
Il caso della bambina del Trentino è eccezionale non solo per la località (il Trentino non è mai stata zona di malaria ed ha sempre avuto una delle più basse incidenze di casi importati in questi anni), ma anche perché risulta misteriosa l'origine della infezione da parte di Plasmodium falciparum. Non sembra un caso importato, dato che la bimba non si era recata in zone dove era presente la malattia e neppure pare poter essere un caso autoctono, dato che quel protozoo non è trasmesso dalle zanzare locali. E' di estrema importanza, allora, fare chiarezza sull'origine di questo tragico, seppur eccezionale, evento. Per il momento, infatti, possiamo stare tranquilli, ma in futuro, complice anche il cambiamento climatico in atto, non è da escludere che modificazioni dell'ecologia dei vettori, insieme al rischio rappresentato dai casi di malattia importati dall'estero, possano fare riemergere possibili rischi di casi autoctoni.