Non serve un altro premio. Serve una rivolta. Non un convegno, ma una mobilitazione. I dati sulle startup in Italia nel 2017 sono la misura di quanto contano i giovani in questo paese, di quanto crediamo nel futuro, di quanto siamo disposti a rischiare per cambiare le cose e migliorarle. Di quanto l’innovazione faccia parte del nostro bagaglio culturale e non solo del nostro modo di atteggiarci. E quei dati dicono che siamo tornati all’anno zero, al 2012, quando le prime norme sulle startup sono state approvate e aprire una azienda innovativa è diventato facile, anzi facilissimo, basta un clic, non serve neanche il notaio, non costa nulla, e anzi ci sono un sacco di sgravi fiscali e incentivi.
Insomma, sognavamo la Silicon Valley all’italiana e oggi ci ritroviamo con ottomila piccole, anzi microscopiche aziende digitali che, con rarissime eccezioni, annaspano, galleggiano, si arrabbattano meritevolmente certo, ma tutte insieme non fanno un unicorno, una di quelle da un miliardo di dollari che ha conquistato il mondo.
Siamo tornati al via, come nel Monopoli, ma più poveri di prima, perché in questi cinque anni sono state bruciate speranze, sogni, intuizioni e tecnologie che portate in altri contesti e in altri paesi avrebbero forse potuto avere un destino molto migliore. E invece ci siamo accontentati di premi simbolici consegnati da amministratori delegati inutilmente sorridenti; dei convegni, con gli applausi di rito all’assessore di turno; di qualche articolo sul giornale che ci incensava. Ci siamo accontentati della scia luminosa mentre il futuro passava. Per questo adesso che i politici cercano i vostri voti, ragazzi, voi pensate al vostro futuro. Chiedetevi cosa manca perché questo diventi un paese dove realizzare una idea, dove fare una impresa. E fatevi sentire. Il momento migliore è adesso.