In questa storia dello scontro fra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il procuratore di Torino Armando Spataro, due cose sarebbe importante chiarire. La prima è se davvero il tweet mattutino di congratulazioni alle forze dell’ordine del ministro ha danneggiato o no l’operazione in corso contro alcuni esponenti della cosiddetta mafia nigeriana. Si tratta di una informazione rilevante che ad oggi, a più di ventiquattro ore dall’innesco della polemica, ancora nessuno ci ha dato. La seconda cosa è molto più sottile ma non meno importante.
Ed è il fatto, incontestabile, che un incidente di questo tipo venti anni fa, ma anche quindici, ma anche dieci, insomma prima che l’iPhone ci mettesse Internet in tasca e prima che Zuckerberg ci convincesse a crearci una vita social, questo incidente non sarebbe mai potuto accadere. Mai. Se il 5 dicembre non fosse stato quello del 2018 ma quello del 2008, il ministro dell’Interno, avvisato dell’operazione dal capo della Polizia come effettivamente è avvenuto, avrebbe chiamato al Viminale il consigliere per la comunicazione e assieme avrebbero rapidamente valutato come cavalcare la notizia.
Allora avrebbe deciso di scrivere un comunicato stampa, ne avrebbe indicato gli elementi salienti e avrebbe affidato al portavoce il compito di completarlo e girarlo via fax alle agenzie di stampa che lo avrebbero successivamente riscritto e distribuito a tutti in tempo per farlo finire nei titoli dei telegiornali dell’ora di pranzo e sui giornali di carta del giorno dopo.
Sì certo anche allora c’erano i primi siti web dei quotidiani ma francamente non se li filava nessuno e soprattutto li ignoravano i politici che negli uffici avevano personal computer obsoleti che navigavano a stento, si vantavano di non essere digital e provavano a vincere la partita della comunicazione giocando soltanto su due tavoli: i titoli dei telegiornali e le prime pagine dei quotidiani.
E per vincere non c’erano scorciatoie, erano necessari tutti questi passaggi: il consigliere, il portavoce, il comunicato stampa, le agenzie di stampa, le redazioni giornalistiche. Si trattava di un iter articolato che dieci anni fa era tecnologicamente impossibile saltare, e che per essere completato richiedeva diverse ore durante le quali le forze dell’ordine magari potevano completare gli arresti in corso senza fughe di notizie ma non è questo il punto.
Il punto è che c’era un percorso nel quale in ciascun passaggio eri costretto ad approfondire, spiegare, riflettere. Ascoltare. Correggerti, a volte. E alla fine usciva una cosa pensata. Meditata.
Oggi per fare un tweet non ti serve un consigliere, un portavoce, una agenzia di stampa e nemmeno una redazione giornalistica che lo metta nei titoli. E soprattutto non ti serve approfondire, spiegare, riflettere. Non devi pensarci due volte. Per fare un tweet e cambiare il corso di una storia ti basta un attimo. La mia impressione è che chi è al potere oggi, in Italia, ma anche altrove, negli Stati Uniti per dire, non se ne renda esattamente conto.