Tanto tuonò, che piovve. Più delle analisi finanziarie, forse la saggezza popolare può spiegare cosa è accaduto nella notte a Facebook. Nel giro di un paio di ore le azioni sono passate dal record storico, 218 dollari ad azione, al crollo storico, oltre il 23 per cento del valore. Se non siete forti in matematica ve lo dirò in un altro modo: Facebook ha improvvisamente perso valore per 148 miliardi di dollari, pensate che tutta la IBM, un colosso dell’informatica, ne vale 134: è come se in due ore di negoziazioni a Wall Street fosse sparita IBM più qualcos’altro.
Il crollo di Facebook giunge inaspettato ma non imprevisto. Sono mesi che la piattaforma creata da Mark Zuckerberg è sotto attacco per i gravissimi errori commessi nella gestione dei dati degli utenti, in particolare in occasione del referendum britannico che ha portato alla Brexit e delle elezioni americane che hanno visto la vittoria di Trump.
Quei casi non sono isolati ma anzi hanno aperto il sipario su una gestione superficiale di un progetto così importante: creare uno strumento di comunicazione e condivisione per tutti gli abitanti del pianeta terra. Ma il crollo di ieri non ha ragioni etiche, la Borsa non ragiona così, si basa sui dati. E i dati sono chiari. Facebook va peggio del previsto. Ma sarebbe sbagliato dire, come si sta dicendo, che la crescita degli utenti si è fermata. Non si è fermata. Continua ma sta rallentando.
E prima di parlare della fine di Mark Zuckerberg va ricordato un numero, quello che cui il fondatore ieri ha invano provato a blandire gli investitori per addolcire la pillola dei minori profitti: il numero è due miliardi e mezzo, sono le persone che ogni mese usano uno dei prodotti della galassia di Facebook, di cui fanno parte anche Instagram e Whatsapp, che invece vanno benone ma non fanno soldi o comunque non ne fanno abbastanza.
In Facebook invece sicuramente qualcosa si è inceppato: per combattere le notizie false oggi si vedono meno notizie, ma questo lo rende meno interessante; le Stories personali funzionano ma non si è capito come metterci pubblicità dentro e poi spariscono in 24 ore. E più in generale tutto questo parlare di privacy, soprattutto nell’Unione Europea, con le nuove regole della GDPR, vuol dire che è meno facile vendere i nostri dati agli inserzionisti.
Non a caso infatti in Europa un milione di persone nei mesi scorsi è uscita da Facebook. Un milione di persone hanno seguito, magari senza saperlo, l’appello di Jaron Lanier, le dieci ragioni per cancellare subito gli account social, e questo in particolare, che nella traduzione italiana del libro viene chiamato “LA FREGATURA”, scritto tutto maiuscolo. Chissà perché lo hanno fatto: noia, stanchezza, perché preferiscono giocare a Fortnite, o farsi selfie ritoccati con Snapchat, o magari in qualche raro caso perché condividono la campagna Freedom from Facebook lanciata dall’attivista Monika Bickert.
Un milione di utenti in meno non sono tanti, rispetto a quelli che la usano (376 milioni, in Europa), ma nemmeno pochissimi. Facebook resta solida ma il digitale è strano: a volte ci riserva dei finali sorprendenti.