E’ il giorno di Mark Zuckerberg, anzi la due giorni di Mark Zuckerberg. Ascoltato, o meglio, torchiato, e per alcuni grigliato, da due commissioni del Congresso americano. Per il fondatore di Facebook, il miliardario più giovane del mondo grazie ai dati di oltre due miliardi di utenti del suo social network, è il momento più duro di una carriera fulminante ma costellata di errori e scuse (riepilogate dal Washington Post).
Fin dai primissimi giorni, nel dormitorio di Harvard dove creò l’antesignano di Facebook, si chiamava Facemash e funzionava con le foto degli studenti che si era procurato illegalmente entrando nei server dell’università: “Mi scuso per tutti i problemi che ho causato con la mia condotta disse”, nel novembre 2003. E ripartì.
Nel settembre 2006, dopo aver introdotto la prima versione del news feed, che rende notizie gli aggiornamenti degli amici, disse: “Abbiamo davvero fatto casino, non abbiamo spiegato bene cosa stava accadendo e abbiamo fatto un lavoro anche peggiore nel dare il controllo di tutto agli utenti”.
L’anno dopo, dicembre 2007, quando lancia una funzione che automaticamente condivide i dati degli utenti con gli inserzionisti pubblicitari, dirà: “Semplicemente abbiamo sbagliato e mi scuso”.
Febbraio 2009, cambia i termini di servizio, scoppia un caso e dice: “Messaggio ricevuto, torniamo alle vecchie regole”.
Maggio 2010, un cronista scopre un buco nel sistema che consente di accedere ai dati degli utenti: “A volte ci muoviamo troppo in fretta, rimedieremo”.
E lo stesso nel novembre 2011, “ abbiamo fatto un sacco di errori”, si parlava di inganni agli utenti sulla privacy; nel luglio 2014 di nuovo si scusa perché un test psicologico è stato condotto su 700 mila utenti senza avvisarli.
Fino al gran finale di questi giorni. Che dirà quindi Zuckerberg al Congresso? Facile: chiedo perdono, è colpa mia, rimedierò. Per l’ennesima volta. Ma il problema, riavvolgendo il nastro, sembra essere il metodo Zuckerberg, che molti in Silicon Valley avevano trasformato in un modello. E sintentizzato in un motto: “Move fast and break things”. Muoviti in fretta e rompi le cose. In Italia ce n’è un altro, di motto, molto più antico che vista la situazione va un po’ aggiornato: Chi rompe paga e i cocci siamo noi.