Per anni si è provato invano a dimostrare che i telefonini fanno male alla salute. Una questione di radiazioni. Alla fine sta venendo fuori che il vero danno gli smartphone non lo fanno al nostro corpo, ma alla nostra mente. Sono, possono essere, una causa di infelicità. I dati che l’università del Michigan ha appena presentato sono molto netti nelle conclusioni: gli adolescenti più usano il telefonino, più tempo passano online, e più sono infelici; e l’infelicità inizia a crescere proprio da quando c’è stato il boom degli smartphone, nel 2012. Si sa che tutte le correlazioni fra i dati vanno prese con una certa cautela perché a volte portano a conclusioni strampalate, e magari l’infelicità di cui si parla dipende da altri fattori, ma certo l’indagine arriva in un momento in cui c’è una ondata anti tecnologia che sta travolgendo tutto, anche il buon senso a volte.
Ieri a Davos, dove sono riuniti i potenti della terra, Chuck Robbins, il numero uno di Cisco, l’azienda che ha fisicamente creato Internet, ha detto che “i genitori di tutto il mondo devono alzarsi in piedi e fare i genitori e smetterla di dare ai figli questi dispositivi”. E l’olandese Neelie Kroes, che fino a qualche anno fa era la paladina della rete, ha detto che i bambini trascorrono troppo tempo online.
La cosa non riguarda solo gli adolescenti e i bambini ovviamente, anche se per varie ragioni sembrano essere le categorie che fanno più fatica a staccarsi ogni tanto dalla rete. Ma per esempio qualche giorno fa il cantante Ed Sheeran, che si è cancellato da Twitter da vari mesi, ha raccontato di aver rinunciato totalmente a smartphone e social network, di usare un vecchio Nokia 3210 senza schermo che telefona e basta, ed essere finalmente felice. Il metodo Sheeran è un po’ drastico (nell’indagine dell’università del Michigan i più infelici di tutti sono quelli senza Internet, va detto), ma il tema della moderazione, dell’equilibrio fra vita online e offline, esiste evidentemente. Ed è un equilibrio difficile perché le app e i social sono pensati e realizzati per non farti staccare mai (come hanno confermato i recenti appelli ad Apple e Facebook affinché facciano qualcosa che ci aiuti a staccare).
Per queste ragioni va seguito con attenzione l’esperimento di una app che serve a renderti consapevole del tempo perduto in rete: si chiama Thrive, che potremmo tradurre come “crescere sani”, e l’ha realizzata (solo per i telefonini Samsung per ora) Arianna Huffington, già pioniere del web e fondatrice dell’Huffington Post che ha innovato parecchio il giornalismo online. E’ una che ama la tecnologia, la Huffington, ma è anche una che pensa che stiamo esagerando se è vero che tocchiamo lo smartphone in media più di duemila volte al giorno. Cosa fa Thrive? Funziona come le app di fitness: ogni giorno crea un grafico che ti dice quante ore sei stato connesso, e per fare cosa, quanto tempo hai trascorso su ciascun social. E ti consente di mettere un blocco temporale che funziona come un risponditore automatico: non posso leggere il tuo messaggio, Thrive mi ha bloccato per ora. Ne approfitto per fare altro. Provo ad essere felice.