E’ il momento dei regali di Natale, ma il regalo più grande, con i nostri soldi, lo ha appena fatto il Parlamento: tre milioni di euro, uno all’anno per tre anni, a una società che dovrebbe digitalizzare il made in Italy.
Si chiama IsiameD, con la D maiuscola perché loro sono digitali davvero, anche se nel piccolo mondo digitale nostrano non li conosce nessuno. Eppure sono stati scelti “al fine di affermare un modello digitale italiano come strumento di valorizzazione economica e sociale del made in Italy”, in particolare nei settori del “turismo, agroalimentare, dello sport e delle smart city”.
E’ esagerato dire che si tratta di una società fantasma, ma è paradossale che, essendo digitali davvero, in rete non ci sia nulla o quasi su di loro. Inoltre il sito Internet, che non rispetta la normativa da vari punti di vista, non indica i soci, si limita a dire che si tratta della “prima management company dedicata all’innovazione digitale del sistema produttivo e sociale”.
Prima si fa per dire, sono nati appena un anno fa; prima di allora, e per una trentina di anni, sono stati un piccolo istituto che si occupava di scambi fra Mediterraneo e Cina, l’antica via della Seta. Ma è sulla via del web che è avvenuta la folgorazione alla fine del 2016: presidente un ex giornalista e ex ministro stimato e per bene di anni 71, praticamente un nativo digitale insomma, Gian Guido Folloni.
Che si ritrova, nessuno sa come e soprattutto nessuno sa dire perché, tre milioni sotto l’albero ad affidamento diretto grazie a un comma, il 640, inserito nella legge di bilancio al Senato da un senatore di ALA, il gruppo di Denis Verdini, fatto proprio dal capogruppo PD in commissione Bilancio, e passato inosservato sotto il naso dei ministri che di made in Italy e digitale dovrebbero occuparsi e che ora giurano di non saperne nulla, “di non aver mai sentito parlare di IsiameD”, sempre con la D maiuscola, perché loro sono digitali davvero al punto che qualche giorno fa hanno preso pure la residenza digitale in Estonia che fa tanto figo.
Eppure ce n’erano di cose utili anzi strategiche che si potevano fare il futuro del Paese. C’era per esempio l’emendamento che imponeva ai PIR, i piani individuali di risparmio, di destinare una piccola somma, l’1,5 per cento, in fondi che investano a loro volta almeno il 70 per cento in startup innovative.
Questo sì che avrebbe fatto fare un vero salto in avanti al fragilissimo ecosistema delle startup nostrane, che galleggiano invece di crescere per mancanza di capitali di rischio, al punto che in Europa siamo finiti in serie B e che pure al Ministero dello Sviluppo Economico si augurano che qualcuno “faccia baccano” perché in questo momento le startup non sono più di moda, non garantiscono più titoli sui giornali, non portano voti, insomma non interessano più a nessuno queste ottomila e rotte società iscritte nel registro del ministero.
E in fondo bastava davvero poco a cambiare le cose, bastava approvare quell’emendamento che non costava nulla alle casse dello Stato, ma non è stato approvato e lo sapete perchè? Perché non è stato neanche ammesso alla discussione. Chissenefrega delle startup. Mica stiamo parlando di IsiameD, con la Di maiuscola perché loro sì che sono digitali.
E invece proprio ieri, mentre la legge di bilancio passava alla Camera con un testo ormai blindato per l’approvazione finale al Senato, cadeva cadeva anche l’emendamento di Paolo Coppola, deputato del partito democratico, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla trasformazione digitale della pubblica amministrazione, che ha pubblicato un rapporto durissimo sulle cose non fatte, o fatte male, altro che commissione sulle banche.
Ed è per superare questo impasse che l’onorevole Coppola ha proposto l’unica cosa ragionevole: investire sulle persone, sui dirigenti della pubblica amministrazione che la facciano davvero la trasformazione digitale. Ha quindi proposto l’istituzione di un albo e 50 milioni di euro per delle assunzioni. Ma naturalmente no, andiamo avanti così che va tutto bene, ma non benissimo, ma che importa. Tanto c’è IsiameD che adesso in tre anni digitalizza il made in Italy (ma intanto prima magari si rifanno il sito web, che non guasta).
E in fondo questa storia mette solo una immensa tristezza per come viene trattato il bilancio dello Stato e per come l’innovazione invece di essere sostenuta davvero, venga usata per coprire operazioni evidentemente di altro tipo. Buon Natale a quelli che non si arrendono.