Ci sono le bufale. Ci sono le cantonate. E poi ci sono le opinioni: che magari possono essere lontanissime dalle nostre, ma non per questo vanno censurate. Questo per dire che il dibattito sulle fake news ci sta sfuggendo di mano. E lasciate da parte per un istante il fastidio per questa moda di chiamare in inglese una cosa che potremmo facilmente esprimere in italiano: notizie false.
Chiamarle fake news genera un rimando immediato al mondo - angolofono - della rete e dei social, considerati, a torto, il problema quando si parla di fine della verità. Il problema è che abbiamo perso di vista quello di cui si sta parlando. Prendiamo le ultime 24 ore. La foto dove si vedono la sottosegretaria Boschi e la presidente della Camera Boldrini con un titolo che afferma che stanno partecipando al funerale di Totò Riina è una bufala: non è mai successo. Quella foto risale ad un altro funerale di qualche mese fa.
Quel titolo l’ha aggiunto un cretino, usando senza autorizzazione il logo del M5s che si è dissociato dalla cosa, e qualche migliaio di persone l’ha subito condivisa sulla base di un meccanismo istintivo per cui si crede immediatamente a qualcosa che conferma i propri pregiudizi. Poi ci sono le cantonate: come quella per cui a Padova una bambina di 9 anni, in omaggio alla tradizione musulmana, sarebbe stata data in sposa a un uomo di 35 anni che l’avrebbe violentata ripetutamente. In questo caso la notizia è stata data da un autorevole quotidiano del Nord Est: e da lì ha fatto il giro di tutti i siti di news anche per alcune indignate reazioni politiche. Ma era falsa. Il cronista del giornale del nord est ha capito male.
A noi è bastato chiamare i carabinieri, la procura della repubblica e gli ospedali locali - una volta questo si chiamava “il giro di nera” ed era obbligatorio - per accertare che il fatto non è mai avvenuto. Infine ci sono le opinioni: come quelle espresse da una galassia di piccoli siti portata alla ribalta da una inchiesta di Buzzfeed e oggi additati come fabbrica di fake news. Ma in questo caso si tratta spesso di notizie vere, tutte simili (spesso violenze e problemi reali legati all’immigrazione) riprese dai siti dei grandi giornali e rilanciate con titoli che grondano rabbia e indignazione.
Subito Facebook ha cancellato le pagine di questi siti tra gli applausi di molti. Ma siamo sicuri che abbia fatto bene? Vogliamo lasciare a Facebook il diritto di decidere cosa possiamo dire e cosa no? Oppure a partire da uno stesso fatto, che spetta ai giornalisti accertare, è legittimo avere due opinioni diverse senza bollare una delle due come fake news? Uno dei principi su cui si fondano le nostre democrazie è contenuto nella frase: “Non sono d’accordo con quello che dici ma sarei disposto a dare la vita perché tu lo possa dire”. Il fatto poi che questa frase sia stata attribuita al filosofo del ‘700 Voltaire e che lui non l’abbia mai detta è solo la prova di quanto sia difficile cercare la verità. Ma non abbiamo alternative.