E’ persino inutile affermare da che parte si sta sul tema della scuola digitale. Dalla parte di una scuola connessa (ad alta velocità, non col doppino di rame fermo al computer della segreteria); una scuola che utilizzi le tecnologie per una didattica rinnovata (e più stimolante per gli studenti); una scuola che sappia dare ai ragazzi non solo le competenze digitali per trovarsi un lavoro, ma la cultura digitale per abitare in maniera sicura e responsabile questo spazio immateriale che è la rete e che alcuni chiamano infosfera.
E’ persino inutile affermarlo visto che il primo appello, che io ricordi, per la digitalizzazione della scuola italiana, risale al 1986 (lo diceva, sulla copertina di un mensile di temi scolastici, il pioniere dell’informatica Gianni Degli Antoni). Il 1986: l’Italia si era connessa ad Internet per la prima volta qualche mese prima e il world wide web era di là da venire, per dire di quanto tempo è passato da quella visione.
Ciò premesso, il Piano Nazionale Scuola Digitale, varato nel 2015, traduce finalmente in azioni concrete, coerenti, ordinate e soprattutto finanziate, le tante cose necessarie per far sì che questa non sia solo una rivoluzione di annunci. Di annunci in effetti in questa legislatura ce ne sono stati tanti: le ministre che si sono avvicendate al ministero di Viale Trastevere (Maria Chiara Carrozza, Stefania Giannini, Valeria Fedeli), hanno tutte voluto associare il proprio nome a promesse molto impegnative sulla digitalizzazione della scuola italiana. Volendo sintetizzare molto: Maria Chiara Carrozza si era impegnata all’introduzione dei libri digitali; Stefania Giannini aveva solennemente promesso 60 ore di coding (programmazione informatica) già per i bambini delle elementari; mentre Valeria Fedeli si era schierata per l’introduzione dei videogiochi in classe e la riduzione dei compiti a casa.
Di tutti questi annunci così impegnativi nella scuola non c’è traccia o quasi. Beninteso i programmi e gli impegni non sono cancellati, nessuno ci ha ripensato, ma siamo in ritardo. Sul ritardo che avevamo, ne stiamo accumulando altro (e lo stesso accade per l’impegno dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi di portare la fibra ottica in tutte le scuole entro il 2018, che è slittato al 2020). Per affermarlo non era necessaria una indagine: bastava frequentare le scuole italiane da genitore o da studente, o meglio ancora da docente e maestro. Basta ogni mattina osservare i bambini e i ragazzi andare a scuole con trolley traboccanti di libri di carta; entrare in scuole fatiscenti e disconnesse (non solo dalla rete di Internet, ma dal mondo che ci circonda); fare lezioni tradizionali - altro che classe rovesciata, altro che videogame - che prevedono montagne di compiti a casa.
Per per andare oltre l’apparenza il 18 agosto l’Agenzia Italia ha presentato al MIUR una richiesta di accesso civico (il cosiddetto FOI) ai dati sull’effettivo stato del digitale nella scuola italiana. I risultati li pubblichiamo soltanto oggi, dopo quasi tre mesi, per una serie di ragioni. La prima è che il MIUR ci ha messo tutto il tempo previsto dalla legge per rispondere (30 giorni): e questo è normale, perché le banche dati dalla pubblica amministrazione sono ancora disorganizzate e non abituate a gestire i dati con trasparenza verso i cittadini.
La seconda ragione è che le basi di dati che ci sono stati consegnati erano spesso incongrue, non confrontabili, confuse e che soprattutto le sintesi operate dal MIUR ci apparivano sbagliate. Che vuol dire sbagliate? Che usando le stesse basi di dati, secondo il team di Formica Blu che ha condotto le analisi, il risultato era molto peggiore. Molto. Anche troppo. Nel senso che è sicuramente vero che nei mesi scorsi è stata avvalorata una narrazione ottimistica esagerata, probabilmente anche come incoraggiamento per i tanti “pionieri” impegnati in questo progetto in ogni scuola (i cosiddetti animatori digitali); ma se certi numeri che sono stati fatti circolare erano gonfi di buoni auspici, affermare l’esatto contrario voleva dire negare i tanti sforzi fatti nella direzione giusta. Per questo a metà ottobre, con Elisabetta Tola di Formica Blu, siamo tornati al MIUR e abbiamo chiesto una ulteriore verifica. E, ad ulteriore verifica, dopo una decina di giorni ci sono state consegnate delle basi dati certificate e chiare. Di questa collaborazione siamo grati ai dirigenti del MIUR
Il risultato è quello che ciascuno di voi può leggere. Se devo dirvi la mia valutazione è che la direzione è giusta (il Piano nazionale scuola digitale); ma la velocità di esecuzione no. E’ come se al Ministero in questi anni ci si fosse accontentati delle conferenze stampa; è come se si fosse ritenuto che i titoli dei giornali bastassero a digitalizzare davvero la scuola; è come se qualcuno avesse ritenuto che gli annunci avessero un potere miracolistico. E invece no.
I ritardi nelll’esecuzione sono gravi. E se è vero che quelli della fibra ottica dipendono dal ministero dello Sviluppo Economico (e sono figli, mi viene detto, di un cambio di strategia “per fare delle gare corrette e non regalare la rete a un solo operatore”); tutti gli altri ritardi sono invece imputabili al ministero dell’Istruzione.
E fra i tanti cito quello forse meno importante ma dal più alto valore simbolico: i mille euro l’anno che ciascuna scuola avrebbe dovuto ricevere come contributo spese per l’attività degli animatori digitali. Gli animatori digitali sono dei docenti che volontariamente si prestano a fare una attività “extra” per sviluppare programmi digitali nella propria scuola. Sono dei missionari, a cui dovremmo dire grazie. E dare loro mille euro l’anno per coprire alcune spese (mille euro: praticamente una somma equivalente ai famosi e famigerati “80 euro”). Bene, quei soldi in due anni non sono mai arrivati.
Qualche giorno fa al MIUR ci è stato detto che la prima annualità “è in viaggio in questi giorni”. E’ in viaggio, come se nel 2017 i soldi viaggiassero in forzieri a bordo di diligenze tirate dai cavalli. Due anni per ricevere i primi mille euro sono inaccettabili e sono la fotografia migliore della sciatteria con cui viene trattato uno dei processo chiave per rilanciare la scuola italiana. Speriamo che questa indagine convinca la ministra Fedeli e il suo staff che nei prossimi mesi servirà molta più energia e molta più attenzione per mantenere le eccellenti promesse fatte negli anni scorsi.