Mi ero dimenticato di Pinterest. Uno strano social network che venne lanciato nel 2010 da Ben Silbermann (un ex dipendente di Google la cui prima startup era fallita subito), e che per qualche mese venne definito “il nuovo Facebook”. Ma era ed è un’altra cosa: Pinterest ci consente di creare bacheche di immagini - non di selfie, quello è Instagram - collezionando le cose belle che troviamo sul web: in particolare moda, trucchi, arredamento e ricette. Pubblico: soprattutto donne, addirittura quattro su cinque. Diciamolo meglio: 200 su 250 milioni di utenti sono donne, di 30/40 anni e la metà stanno negli Stati Uniti.
E’ un social network di buon successo Pinterest. Silenziosamente ha trovato un modello di business che funziona (le cose metti in bacheca poi spesso finisce che te le compri), ha raggiunto una valutazione di circa 15 miliardi di dollari e quest’anno si quota alla Borsa di Wall Street. Ma non è per questo motivo che oggi ho riattivato il mio vecchio account, ma perché nella lotta alle fake news Pinterest si è spinto laddove Facebook, Google e Twitter non sono mai arrivati.
La notizia è questa: visto che è impossibile impedire che gli utenti carichino contenuti contro l’importanza di vaccinarsi, no vax, su Pinterest è impossibile trovarli. Quando nella barra delle ricerca scrivi “vaccini” la risposta è la seguente: “i contenuti relativi a questo argomento spesso violano le nostre linee guida pertanto non siamo in grado di mostrarti i risultati della ricerca” (neanche quelli positivi, purtroppo, il che vedremo non è irrilevante). Lo stesso accadeva da tempo per il cancro, anzi per quei “pin” che spacciano per vere cure miracolistiche per il cancro.
Tutto parte da un documento, varato alla fine del 2017, chiamato “regole per la disinformazione sulla salute” che in sostanza dice che quello che contravviene quanto afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, su Pinterest non si può condividere. Come la chiamate voi, questa cosa? Una censura? Oppure la presa d’atto di una sconfitta (magari temporanea) e quindi una cautela necessaria?
La risposta è complicata: se uno è cresciuto nel mito illuminista della libertà di parola prima di tutto, anche del nostro avversario più acerrimo, questa storia non può non provocare disagio. Un forte disagio. Epperò ci costringe a ragionare su cosa è diventata la rete, su quanto sia a tratti improba la battaglia quotidiana per arginare le notizie false; e sulla responsabilità delle piattaforme social, che non possono solo guadagnare infischiandosene dei danni collaterali.
Vediamo dove ci porta la strada aperta da Pinterest. Ma la mia impressione è che si possa applicare soltanto al magico mondo dorato di Pinterest. Quando dico mondo dorato mi riferisco al fatto che il fondatore sostiene di voler creare un social network diverso da tutti gli altri, un posto dove alimentare i propri hobby da coltivare senza il telefonino in mano; e soprattutto un luogo che contenga solo “cose belle”. Dice proprio così: cose belle.
Pinterest insomma è come uno di quei magazine patinati che di solito preferiscono le donne ma che hanno anche lettori maschi (che su Pinterest seguono i canali di cibo, drink e tecnologia). Pensate che la grande novità tecnologica di questi mesi è il fatto che il motore di ricerca interno consente di fare ricerche in baso al tipo di carnagione in modo da poter trovare il trucco più adatto. Insomma, niente politica, niente polemiche. Del resto è come se uno su Vogue desse spazio ad una polemica sui vaccini. Mai, ci sta, è una scelta editoriale.
Ma nel resto del mondo, la vita vera è fatta anche di polemiche, di scontri, di politica nel senso migliore del termine. Se invece di un magazine patinato vuoi essere la piattaforma dove il mondo comunica (Facebook), si racconta (Instagram), si informa (Twitter), non puoi permetterti di dire “non si parla di vaccini o di cancro perché non so arginare gli spacciatori di bufale”. Trovi il modo di arginarli.