Parliamo parecchio, forse anche troppo, delle fake news, le notizie false che circolano in rete. Quando poi alcune delle cose più sfacciatamente fasulle che vediamo sui social sono le nostre foto. I nostri selfie.
Non mi riferisco al fatto che i selfie sono per definizione degli autoritratti dove tutti siamo belli, sorridenti e felici come in un film di Frank Capra. O al fatto che con un filtro puoi modificare i colori o i contrasti. Inezie. Mi riferisco alle app che con un clic sono in grado di fare ritocchi che assomigliano alla chirurgia estetica: schiarire la pelle, cancellare gli effetti della cellulite, sbiancare i denti e levare qualche centimetro di pancia o cosce. Mi riferisco in particolare a FaceTune, la app a pagamento più popolare del 2017.
Dietro c’è una startup israeliana, fondata a Tel Aviv nel 2013, l’anno in cui l’Oxford Dictionary scelse selfie come parola dell’anno. Allora quattro ricercatori di informatica ebbero l’idea di sviluppare al volo un’app per ritoccare i propri selfie come se si disponesse di Photoshop, un software molto evoluto con cui vengono ritoccate le foto di molte campagne pubblicitarie e delle star.
L’idea era di fare una cosa semplice e alzare qualche migliaio di dollari ma i quattro si sbagliavano di grosso: la prima versione ha venduto 10 milioni di copie a circa 5 dollari probabilmente anche grazie all’endorsement di Khloe Kardashan, una sorta di inutile diva dei social media. L’anno seguente la app è stata scaricata 20 milioni di volte e adesso prevede un piano mensile di ritocchi illimitati per 40 dollari l’anno.
Siamo arrivati al punto che si inizia a dire che gran parte delle foto che vediamo sui social, Instagram in particolare, è fortemente ritoccata in qualche caso sfidando la forza di gravità e quasi sempre il senso del ridicolo. Anche perché non ci siamo solo noi occidentali in questa corsa a sembrare più belli.
In Cina si calcola che la metà dei selfie in circolazione, parliamo di sei miliardi di foto al mese, sia stata modificata con una app molto simile, Meitu, che vuol dire “foto bella”, e che starebbe cambiando il concetto stesso di bellezza per i giovani cinesi.
Questa cosa potrebbe sembrare solo una innocente vanità e in qualche caso lo è, ma rischia di creare generazioni di persone scontente o addirittura disperate del loro aspetto reale. Quando poi la bellezza autentica è un’altra cosa e non dipende da un’app. Qualche anno fa una multinazionale molto impegnata sul tema della bellezza autentica ha fatto un esperimento: una serie di persone dovevano descriversi a un disegnatore che non poteva vederle; e poi rifaceva lo stesso disegno ma sulla base di quello che ciascuno vedeva negli altri. Il secondo ritratto era molto più bello. Perché quasi sempre siamo più belli di quello che sentiamo.