Qualche giorno fa analizzando i suoi tweet abbiamo detto che Trump twitta come un bimbominkia. Lo fa appena svegliato, con tante lettere maiuscole e una cascata di punti esclamativi, fino a 15. Oggi, dopo il lancio improvviso di qualche decina di missili in Siria, possiamo aggiungere che in politica estera Donald Trump segue la logica di Call of Duty.
Non so se tutti conoscete Call of Duty, probabilmente sì. E’ uno dei videogiochi di più grande successo da anni. E’ uno sparatutto. Nel senso che il gioco consiste nello sparare a tutto quello che vedi, sono nemici e basta. Se non spari muori. Se spari vinci. Guerra allo stato puro, molto realistica e spettacolare.
Donald Trump è Call of Duty calato nella vita reale. Tra l’altro se andate in rete, su YouTube trovate decine di video di qualche anno fa in cui gli utenti giocano con qualcuno che si presenta come Donald Trump. Che allora non era un leader politico ma solo un potente miliardario. Ora non c’è la certezza che in quei video dove i giocatori possono iscriversi con un nome qualunque, quando si vede il nome Donald Trump ci fosse davvero l’attuale presidente degli Stati Uniti. Ma la cosa deve essere apparsa così realistica anche agli autori del videogioco, che qualcuno, subito dopo la vittoriosa elezione di novembre, ha detto che la prossima versione di Call of Duty si sarebbe basata sui primi 100 giorni di Trump da presidente degli Stati Uniti. Con un bell’attacco a sorpresa in Medio Oriente.
Trumpageddon, è il nome che gira in rete. Intanto però il presidente degli Stati Uniti ha attaccato davvero. Non ha aspettato di sapere di chi fossero davvero le responsabilità del massacro in Siria di qualche giorno fa con le armi chimiche. Non ha consultato gli alleati. Non ha convocato il consiglio di sicurezza dell’ONU. Ha sparato subito. In fondo lanciare dei missili deve essere come spingere un pulsante della PlayStation. Ha sparato prima di tutti, Trump. Come in un videogioco. E abbiamo perso tutti.