Meglio gli immigrati o i robot? La domanda appare assolutamente priva di senso, ma nel mondo in cui viviamo c’è chi se la pone davvero. In Giappone stanno sperimentando un robot per la cura degli anziani. Una badante elettronica, potremmo dire. Si chiama Robear (qui un video), dove bear sta per orso e infatti la testa del robot ricorda quella di un orsacchiotto di peluche. Ma si tratta di un oggetto imponente, in grado di prendere in braccio un’anziana signora e accompagnarla in bagno. Ovviamente quando sarà finito.
“Sarà un robot forte con un tocco gentile”, promette il suo creatore, Toshiraru Mukay, ricercatore di una università di Nagoya, 50 anni, gli ultimi dieci al lavoro su Robear. Non è un caso che il progetto sia stato sviluppato in Giappone e sia finanziato dal governo. Ci sono almeno due ragioni: la prima è che il Giappone è uno dei paesi con la popolazione in media più vecchia del mondo (assieme all’Italia): invecchiano e sono sempre meno. Nel 2025 si stima che mancheranno almeno 380 mila infermiere per anziani. La soluzione sarebbe importarle, aprire le porte alle Filippine, all’Indonesia e ad altri paesi del Sud Est asiatico. Ma qui veniamo alla seconda ragione: in Giappone da sempre c’è una vera fobia per l’immigrazione. “Ci sono un sacco di cose che possiamo fare prima di rivolgerci agli immigrati” ha detto più volte il premier Shinzo Abe sul tema. Ed essendo in Giappone, una di queste cose è provare a costruire un robot per anziani.
Del resto lì hanno già costruito un piccolo robot, Paro, in grado di conversare con persone affette da demenza senile; e un robot bambino, Kirobo Mini, che può fare compagnia alle donne senza figli. Il problema è che Robear non è pronto: il tocco gentile non è abbastanza delicato per le ossa fragili degli anziani, e quando esce dal laboratorio, fatica a muoversi con disinvoltura negli spazi stretti di un appartamento. Insomma, serve tempo. E poi non è esattamente un prodotto economico: il prototipo costa attorno ai 200 mila euro anche se è ragionevole pensare che costerà molto di meno. Intendiamoci: non c’è niente di male nel costruire robot per la cura delle persone, anzi. Ma il fatto che un grande paese si ponga il problema di scegliere fra i robot e i migranti per la cura delle persone, ci fa riflettere sul mondo che stiamo costruendo.