Di cosa parliamo quando parliamo di Cambridge Analytica? Parliamo di circa 50 milioni di profili Facebook violati a fini elettorali. Vuol dire che di ciascuna di queste persone sono stati presi tutti i dati, l’età, la città di residenza, gli studi, i gusti, la professione; ma soprattutto ogni like espresso, ogni link condiviso, ogni commento e tutti questi dati sono serviti a costruire un profilo psicologico di ciascuno. Con uno scopo molto preciso. Manipolarci. Convincerci a fare qualcosa. Votare per qualcuno. Naturalmente è molto complicato, o addirittura impossibile prendere un elettore di destra e farlo votare per un partito di sinistra e viceversa. Ma per esempio se lavori per il candidato repubblicano alla Casa Bianca, di questo stiamo parlando, puoi provare a convincere un elettore democratico a non andare alla urne mandandogli messaggi sul fatto che tanto non cambia nulla. Quando parliamo di Cambridge Analytica parliamo quindi di come funziona una democrazia al tempo di Internet. Ma anche del nostro rapporto con la rete che è ora di riconsiderare prima che sia troppo tardi.
Le manipolazioni dell’opinione pubblica e la propaganda infatti ci sono sempre state, da molto prima che venisse inventato il web. Ma adesso sono così tante le nostre informazioni personali disponibili sulla rete (che in Silicon Valley si guardano bene dal proteggere); che, con l’aiuto di computer e algoritmi, è possibile raccoglierle e mandarci messaggi personalizzati fatti apposta per noi.
Si dirà: anche Hillary Clinton usava i social e prima di lei Obama, se Trump ha vinto, se la Brexit ha vinto, è perché il loro messaggio era più convincente e perché hanno usato meglio la rete. In realtà la differenza fra la Clinton e Trump nella corsa alla Casa Bianca 2016 è stata abissale se analizzata da questo punto di vista: la candidata democratica aveva a sua disposizione un database infinito dove per ogni Stato sapeva come era andato il voto quartiere per quartiere con tutte le serie storiche. Insomma la Clinton sapeva tutto dell’aspetto “politico” di ciascun elettore.
Trump invece grazie a Cambridge Analytica sapeva tutto di ciascun elettore, non solo la politica, ma i gusti, le passioni, le paure, la cultura, ovvero tutto quelle variabili che poi si traducono in visione politica, che la determinano. Sapeva come emozionarci e come spaventarci. E ha adeguato i messaggi, usando i social media per raggiungere ciascun con le parole più adatte. Si chiama micro-targeting e rispetto alle tradizionali tecniche del marketing pubblicitario e della persuasione occulta siamo in un’altra dimensione evidentemente. E del resto come funziona il micro targeting lo vediamo tutti i giorni navigando in rete quando ci compaiono offerte commerciali che definire tempestive è poco.
Questo è meraviglioso se si tratta di comprare un nuovo telefonino o fare una vacanza; ma lo stesso può dirsi se parliamo di politica? Forse sì, ma rispondereste sì anche se dietro i messaggi che vediamo sui social in campagna elettorale si nascondesse uno stato straniero? Anche se questa cosa venisse fatta da una società fondata da un miliardario americano che punta in questo modo a far prevalere nel mondo, in tutto il mondo, non solo nel suo Paese, i partiti della sua parte politica? E’ esagerato parlare, come fanno nel Regno Unito, del più grande dirottamento della democrazia senza per questo denigrare la capacità degli elettori di scegliere liberamente? E infine, non sarebbe ora di riprendere il controllo dei nostri dati online, sapendo come vengono usati e da chi? Ne parleremo ancora a lungo.