E quindi, dicono gli investigatori, Cesare Battisti sarebbe stato tradito da Facebook. Una latitanza durata in forme diverse 37 anni sarebbe finita perché il vecchio terrorista da due anni aveva scoperto i social e continuava a mandare messaggini ai suoi amici. Anche in Bolivia dove è stato arrestato lo avrebbe fatto collegandosi ad una rete wifi locale senza tenere conto che non c’è modo migliore per essere identificati che collegarsi alle reti wifi pubbliche senza usare protezioni, come quelle fornite dalle tante app che per pochi euro creano una VPN, una rete privata virtuale grazie alla quale è possibile nascondere il luogo dal quale ci si sta connettendo e indicarne un altro a piacere.
È una pratica comunissima in Cina per esempio, o nei luoghi di guerra, o dove c’è una dittatura, ed è adottata da tutti quelli che per motivi di sicurezza preferiscono non essere identificati. Possibile che Battisti non lo sapesse? Ma quello che mi ha lasciato di sasso è il fatto che dal dicembre 2016 usava Facebook e scoprire che lo usava come può usarlo la mia mamma: per condividere il compleanno di un nipotino, le foto di un abbraccio, una gita al lago, e poi tante citazioni di libri brasiliani, qualche riferimento polemico alla politica italiana, una manciata di “mi piace” distribuiti ad alcuni partiti comunisti, a cantanti e gruppi rock famosi, diversi artisti locali, un programma tv, e alla comunità per la solidarietà a Cesare Battisti, un gruppo Facebook che comunica per l’ultima volta alla metà di dicembre, quando lui è scappato dal Brasile di Bolsonaro, e sulla pagina compare il messaggio “capiamo la preoccupazione degli amici, ma non abbiamo idea di dove sia. Ha molti amici”.
Qui lo descrivono come “un uomo semplice, tranquillo, amorevole, un paparino”. Ed è davvero singolare questa dimensione social di un uomo condannato per diversi omicidi, che ti immagini nascosto su Telegram o Signal dove le conversazioni sono cifrate, o al limite su Whatsapp, dove non sono intercettabili e restano private.
E invece era su Facebook, con un elenco di amici pubblico dal quale gli investigatori, quando il governo brasiliano ha improvvisamente cambiato linea, ci hanno messo un attimo a ricostruire la sua rete di protezioni. Del resto lui continuava a scrivere loro usando il servizio di messaggistica di Facebook, incurante del fatto che ormai anche i sassi lo sanno che lì c’è un enorme tema di privacy a rischio. In questo modo, quindi, la rete di protezioni è diventata anche la rete che lo ha incastrato.