Il 2018 sarebbe dovuto essere l’anno delle auto che si guidano da sole. I test si sono moltiplicati in effetti, così come gli attori coinvolti, ma i dubbi su quando davvero saranno sulle nostre strade restano moltissimi. Otto mesi dopo l’incidente mortale in Arizona nel quale rimase ucciso un pedone, le auto di Uber stanno per tornare su strada ma in versione parecchio ridimensionata. Non potranno guidare di notte, non potranno farlo se piove e soprattutto avranno la velocità ridotta da 90 chilometri orari a circa 40. Come un motorino.
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La drastica riduzione della velocità non è una semplice concessione ai rischi di una nuova promettente tecnologia, bensì un calcolo preciso. In questi mesi di analisi è emerso che qualcuno l’aveva fatta un po’ troppo facile. Le auto che si guidano da sole infatti decidono rotta, velocità e frenate analizzando in tempo reale i dati che provengono da diversi sensori installati a bordo, come telecamere e radar. Ma se consideriamo una vettura che va a 40 chilometri orari, per eguagliare i tempi di reazione di un pilota umano, l’intelligenza artificiale di Uber ha bisogno di andare più lenta di circa il 20 per cento: 32 chilometri orari. E anche così il 18 per cento dei test su strada non vengono completati correttamente.
Sono dati importanti, che giustamente non freneranno gli investimenti milionari verso un settore, quello dell’auto, che sta per essere stravolto dalla tecnologia. Epperò ci ricordano un fatto fondamentale: quello che il nostro cervello è in grado di percepire e analizzare è ancora infinitamente superiore a quello che può fare un software.
Pensate ad una conversazione fra due persone: l’intelligenza artificiale può analizzare le parole dette e rispondere di conseguenza in modo convincente; l’intelligenza umana alle parole aggiunge il tono, lo sguardo, l’umore e persino gli odori dell’interlocutore. Questa intelligenza emotiva è soltanto nostra. Con questo non voglio dire che non arriveremo alle auto che si guidano da sole: ci arriveremo così come è accaduto per i treni e gli aerei. Ma dovremmo ricordarci sempre che la tecnologia più potente del pianeta è anche la più democratica: è il nostro cervello, allenarlo è l’investimento migliore che ciascuno di noi dovrebbe fare.