Chi è l’italiano dell’anno? Quello, o quella, cui dire grazie perché ha fatto la cosa più difficile che c’è in questi tempi agitati: mantenere accesa la lucina del futuro, l’idea che un mondo migliore non solo è possibile, ma realistica addirittura e ciò per una semplice, banalissima, inoppugnabile ragione. Qualcuno lo sta già costruendo, quel mondo, giorno dopo giorno.
Chi è insomma l’italiano del 2017? Ci abbiamo pensato a lungo e ci sono venute in mente tante storie. Ci è venuta in mente Lucrezia che a 25 anni fa la spola fra Roma e Nairobi per testare la app con cui sogna di insegnare a leggere e a scrivere ai bambini di tutto il mondo. Mi è venuto in mente Davide che a 27 anni ha costruito la più grande rete europea di spazi di coworking dove giovani talenti si incontrano e realizzano progetti. Mi è venuto in mente Marco, 27 anni, che in pochi mesi ha portato il 9 per cento dei prof italiani a bordo della sua piattaforma dove la scuola digitale si fa davvero, non è uno slogan acchiappavoti.
Ci sono venuti in mente i giovani italiani che non si arrendono. Quelli di cui tutti parlano nei comizi, ma poi nessuno considera davvero. Quelli che sono indicati dalla politica come un problema da risolvere quando invece sarebbero la soluzione, perché i problemi semmai li abbiamo creati noi adulti; e perché nella storia dell’umanità sono sempre stati i giovani a trovare un modo nuovo di affrontare le cose. Il futuro è roba loro.
E quindi gli italiani dell’anno per noi sono i giovani italiani, anche quelli che si fanno onore lontano da qui: come Nicola che a 23 anni costruisce il futuro del web in uno dei posti dove la rete è nata, al MIT; o Federica, 29 anni, che fra Harvard e le Nazioni Unite di New York mette le sue competenze giuridiche al servizio della causa più nobile che c’è, battersi per impedire genocidi e altri crimini contro l’umanità.
Sono loro i nostri italiani del 2017, i giovani, con la speranza che i loro sogni, le loro visioni, i loro progetti contino di più nel 2018, un anno che segna i 50 anni dall’ultima grande rivoluzione giovanile, il ‘68. Allora si diceva che era arrivato il tempo di portare la fantasia al potere. Con questi giovani non porteremmo solo la fantasia, ma anche la competenza: questa generazione ha il difetto di essere numericamente scarna (sono molti di più i pensionati degli adolescenti e questo si vede benissimo quando la politica deve decidere come allocare le risorse pubbliche). Ma in compenso sono i più preparati di sempre. Mi riferisco alla tecnologia, al digitale, all’innovazione. Sanno cose, sanno fare cose che noi alla loro età neanche immaginavamo. Ascoltiamoli, diamo loro fiducia, ci guadagneremo tutti.
A 19 giovani, AGI ha chiesto di raccontare cosa si aspettano dal 2018. Crediamo che sarà interessante scoprire come vedono il futuro loro che hanno già fatto molto ma hanno ancora tutta la vita davanti.