Un po’ gioco delle parti, un po’ gioco di sponda, un po’ campagna elettorale. Corre sul filo di queste tre chiavi di lettura l’analisi dell’ultimo scontro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Uno scontro che ha visto il leader leghista disponibile al dialogo, gelato però dal leader M5s, a cui di conseguenza ha risposto piccato.
Un botta e risposta che ha animato lo scorso week end e tutto il lunedì, mentre i due erano impegnati in campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia e Molise. Due piazze locali che avranno un peso in questa partita a scacchi nazionale che ha come posta in gioco il governo del Paese e il futuro politico di Lega e Cinquestelle.
Il gioco delle parti è chiaro: entrambi mirano a diventare i giovani leader indiscussi della loro parte politica, fagocitando Forza Italia l’uno e la sinistra l’altro per guardare con sicurezza e da protagonisti ai prossimi anni.
Il gioco di sponda è già stato sperimentato in occasione dell’elezione dei presidenti delle Camere. Salvini si fa forte del veto di Di Maio contro Berlusconi per convincere l’anziano alleato a fare quel che non gli può chiedere direttamente: un passo indietro per agevolare l’avvio di un nuovo esecutivo e favorire il rinnovamento in Fi.
La campagna elettorale nelle due regioni è la spiegazione dei toni duri dei due leader: non si può chiedere un voto a Udine o Campobasso per sé, attaccando un partito con cui a Roma si sta facendo un’alleanza stabile di governo.
Il sospetto, dunque, in molti osservatori, è che in realtà le distanze tra Lega e M5s non siano poi così forti. Di Maio da alcuni giorni non pone più la sua premiership come condizione insormontabile per un accordo di governo. E martedì ha stemperato i toni: “noi siamo pronti, ma capisco che ci sono delle dinamiche interne alla coalizione di centrodestra e al Pd, quindi avremo bisogno di tempo per vedere le evoluzioni interne alle altre forze politiche”.
Insomma, il dialogo prosegue, in calendario c’è sempre un incontro tra i due leader sempre annunciato ma mai organizzato.
Giovedì e venerdì ci sarà il secondo giro di consultazioni e quella potrebbe essere l’occasione per capire se sono stati fatti avanti o se la polvere dello scontro si depositerà solo dopo le elezioni regionali. Di certo al Quirinale ci sono due elementi fondamentali: non si tornerà al voto quest’estate e prima di giugno Sergio Mattarella farà un tentativo concreto per dare un governo al Paese, se necessario anche imponendosi con una proposta precisa. Una minaccia, questa, che potrebbe far sciogliere a Salvini e Di Maio le ultime riserve.