I dubbi di Leu su Nicola Zingaretti e il no a Giorgio Gori; l'attacco di Paolo Gentiloni e Carlo Calenda a Virginia Raggi; le difficoltà di Chiara Appendino; il dilemma del centro-destra indeciso tra Maurizio Gasparri e Sergio Pirozzi. Mai come questa volta le elezioni amministrative irrompono nella campagna elettorale per le elezioni politiche. Un po' la concomitanza dell’election day, un po' il banco di prova per la credibilità come forze di governo, un po', forse, anche qualche calcolo strategico segreto, sta di fatto che le scelte per individuare i candidati che guideranno due regioni sicuramente cruciali come Lazio e Lombardia sono diventate uno snodo fondamentale per alleanze e profili di una campagna elettorale che porterà alla scelta di chi governerà l'intero Paese.
Liberi e uguali è stata a lungo indecisa sul possibile sostegno ai candidati Pd nelle regioni Giorgio Gori e Nicola Zingaretti. L'orientamento complessivo era di non sostenere il sindaco di Bergamo ma di dare invece l'appoggio al governatore laziale uscente, dopo il no di Roberto Maroni (sul cui futuro politico peraltro sono sorti diversi interrogativi che coinvolgono la politica nazionale). Ma i più radicali in Leu contestano che la nascita del partito debba la sua origine all'antitesi con il PD e sarebbe dunque contraddittorio sostenere i dem seppure in una sola regione. La vera e propria guerra di sondaggi di queste ore ha fatto sorgere ulteriori dubbi: secondo alcuni la sinistra sarebbe cruciale per la riconferma di Nicola Zingaretti, mentre per altri sarebbe ininfluente e la vittoria potrebbe andare o al centro-destra o al Movimento 5 Stelle.
Movimento 5 Stelle che, proprio sulle amministrazioni di cui ha vinto la guida, si sta giocando buona parte una fetta di credibilità come forza di governo. Il forfait dei revisori dei conti della giunta Appendino a Torino e le dure critiche dell'intero governo, da Paolo Gentiloni a Carlo Calenda, contro Virginia Raggi a Roma stanno mettendo a dura prova la corsa di Luigi Di Maio ad accreditarsi come candidato credibile per la guida del governo nazionale.
Del resto, mentre il centrodestra corre per superare il 40% e giungere alla maggioranza assoluta dei parlamentari sia alla Camera che al Senato, Pd e M5s si battono per diventare il primo partito. Due gare con qualche differenza, quindi, e con la grande incognita della stabilità dopo il voto del 4 marzo in caso nessuno raggiungesse da solo la maggioranza per governare. E proprio qui sta una delle considerazioni che si fanno dietro le quinte in tutte le segreterie. Se nessuno vincesse da solo, ovviamente, si dovrebbe aprire una trattativa tra i partiti, dopo aver scomposto le coalizioni. Dunque la cosa più auspicata dai diversi partiti è un buon piazzamento dei meno distanti: se la Lega ha più affinità con il M5s che con il Pd, diverso è il discorso con Fi, che vede meno distante da sè i dem rispetto ai Cinquestelle.
E qualche osservatore è allora pronto a scommettere che potrebbero esserci manovre non ufficiali nelle candidature alle amministrative, per favorire, o almeno non ostacolare, quello che ufficialmente è l’avversario. Così alcuni addetti ai lavori aspettano di vedere come si schiereranno centrodestra e centrosinistra in Lazio e Lombardia, quali candidati faranno correre, per capire se il gioco post-elettorale è già cominciato.