Tutti con il fiato sospeso in attesa che il dibattito interno al Pd porti a una decisione sul possibile governo con il M5s. Anche oggi il confronto tra i dem non si è fermato, Maurizio Martina ha rinnovato l'appello per un sì al dialogo con i Cinquestelle ed ha proposto una "consultazione della base nei territori". Domani parlerà Matteo Renzi, ma gli esponenti più vicini a lui non cessano di bombardare il M5s, segno di uno scarso entusiasmo per l'eventuale liaison. Eppure c'è chi spera nel 'miracolo', cioè nell'annuncio di una volontà dell'ex segretario di guidare in prima persona il tavolo con i grillini. I quali, nel frattempo, hanno dato un primo via libera, molto sofferto, al dialogo con i dem, ed hanno rinviato ogni decisione definitiva a un pronunciamento della base su Rousseau, che si potrebbe svolgere in poche ore all'indomani di un eventuale accordo giallo-rosso. Ma lo stesso Martina parla di una strada "in salita". Mentre il centrodestra si ricompatta, con l'abbraccio tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, si attende per domani l'esito del voto in Friuli. Che dovrebbe confermare la supremazia della Lega su Forza Italia. Un voto che, però, pochi scommettono potrebbe far deflagrare il legame di centrodestra, vero ostacolo di un possibile accordo con il M5s.
Il centrodestra punta a un "incarico al buio"
Non è un caso che se fallisse il tavolo M5s-Pd, la possibilità di riaprire il forno tra Salvini e Di Maio viene vista sempre più come ipotesi residuale. Da Forza Italia e dalla Lega si rilancia allora la richiesta di un incarico al buio, cioè senza la certezza di avere i voti, che andrebbero cercati in Parlamento. Ma già nelle scorse settimane era giunto dal Quirinale un freno a questo schema e nulla fa presagire che al Colle si sia cambiata idea. La situazione del paese è già abbastanza delicata da suggerire di non rischiare avventure in Parlamento.
E se si tornasse alle urne?
L'unica strada rimarrebbe dunque quella del voto, non in estate, perché la finestra è ormai chiusa, ma in autunno. Il problema è come arrivare a tale data, con quale governo. Nulla vieta che resti Paolo Gentiloni, ma dovrebbe esserci un accordo complessivo dei partiti e un voto parlamentare, una fiducia, per renderlo operativo e non in carica per i soli affari correnti. Certo, alcuni partiti che non sono nella vecchia maggioranza potrebbero avere interesse a lasciare a Palazzo Chigi l'attuale premier, magari con un gioco di astensioni, per avere mani completamente libere in campagna elettorale, ma un sì a Gentiloni non è una decisione che Centrodestra e M5s sembrano intenzionati a prendere.
L'altra possibilità è dunque un governo-ponte, per arrivare al voto avendo magari fatto un modifica del Rosatellum in senso maggioritario. Un intervento che non richiederebbe molto tempo, visto che Carroccio e Grillini hanno dato un sostanziale via libera, ma che sembra impossibile possa arrivare entro settembre. Senza la modifica del Rosatellum, il Capo dello Stato considera un azzardo tornare al voto, con il rischio di ritrovarsi in uno stallo simile a quello di questi giorni, ma al momento sembra il baratro verso cui si sta lanciando la politica italiana. Resta la valutazione che soluzioni semplici non ci sono, sono tutte ad altissimo rischio fallimento, e ogni scossone può solo peggiorare la situazione. Non a caso Mattarella, pur avendo assunto diverse decisioni per trovare una via d'uscita dalla crisi, non dice la sua ufficialmente da quindici giorni esatti. Era infatti il 13 aprile quando al termine del secondo giro di consultazioni richiamò i partiti alla responsabilità, per dare al paese un governo che rispondesse alle "attese dei cittadini". Ora comincia anche qualche piccolo segnale di insofferenza dei mercati internazionali e lunedì comincia la nona settimana dalle elezioni del 4 marzo.