C'è chi ottimisticamente lo definisce ago della bilancia, chi pessimisticamente terreno di caccia da spartirsi. Certo è che il Pd, sconfitto alle elezioni, raramente è stato così corteggiato.
Il risultato del voto non ha dato una maggioranza autosufficiente e quindi per formare un governo, ma anche per eleggere i presidenti delle due Camere, sarà necessario l'apporto di uno degli altri due poli a chi cercherà di formare l'esecutivo. Anche perché nel frattempo il Quirinale ha fatto sapere che non prevede l'ipotesi di esecutivi di minoranza: serve il 50% dei voti e dunque serve dar vita se non a una alleanza, quantomeno a una convergenza.
Sia centrodestra che M5s quindi stanno cercando di convincere il Pd o almeno una sua parte a dare l'ok ed utilizzeranno l'elezione dei presidenti di Montecitorio e palazzo Madama come primo banco di prova.
Il solo sospetto che i grillini già stessero trattando con alcuni big del suo partito per sostenere un esecutivo giallo-rosso ha spinto Matteo Renzi a dichiarazioni durissime durante la conferenza stampa in cui annunciava le dimissioni.
E Luigi Di Maio ha fatto sapere che intende dialogare con tutti per la formazione della maggioranza, compreso il Pd, ma senza Renzi: è chiaro che attende lo scontro nel Pd e spera di poter raccogliere i frutti di una implosione dei dem.
Matteo Salvini ha esplicitato la sua richiesta: "Renzi è vittima della sua arroganza. Peccato, perché c'è una tradizione di sinistra che non vota o che guarda alla Lega e cercheremo di raccogliere queste forze".
Il Pd ha già avviato, non senza un feroce scontro interno, una riflessione. Renzi ha già spiegato che la linea che propone è quella di restare all'opposizione. L'alleato di maggioranza mai troppo amato dal segretario, Dario Franceschini è stato tra i principali sospettati di aver già tessuto una tela di rapporti con i grillini, ma martedì ha messo in chiaro: nessuna alleanza con il M5s o con il centrodestra. Mentre Michele Emiliano non esclude un accordo con il Movimento, magari anche solo per dare un appoggio esterno all'esecutivo.
Del resto il Pd un pacchetto di seggi lo può portare in dote: 112 seggi alla Camera e 58 al Senato, sufficienti a permettere all'eventuale alleato di far partire il governo. Non a caso il renziano Michele Anzaldi ha fatto notare che il Pd, nonostante tutto, è il secondo partito più votato.
La linea di Renzi la spiega il deputato Roger De Menech: "Ci hanno attaccato perché facevamo inciuci e adesso vorrebbero i nostri voti: questo che ora ci chiedono non sarebbe un inciucio?".
Il Pd deciderà che linea prendere a cominciare dalla riunione della direzione di lunedì, quando si avvierà anche la fase congressuale che segue le dimissioni del segretario. E intanto incassa l'iscrizione di Carlo Calenda, che qualcuno vede già come possibile prossimo leader. Già lunedì dunque si capirà se il Pd sarà disponibile a un dialogo o no, ma per ora sembra prevalere la chiusura. "Questo è lo schema che terremo fino al 23 marzo, quando comincerà l'elezione dei presidenti delle Camere. Poi discuteremo - spiega un parlamentare della maggioranza dem - ma ricordando che quando chiedemmo responsabilità nel 2013 nessuno si mostrò responsabile". "E sappiamo anche che se la situazione non si sblocca ci sono solo le elezioni" aggiunge un altro.
La partita insomma è alle prime battute, quel che è certo è che, più o meno ammaccato, il Pd è un partito molto corteggiato. E la trattativa sulla presidenza delle Camere sarà la prima partita da giocare.