Nessuna alternativa: M5s e Lega si apprestano a resistere ai tentativi che verranno portati avanti per cercare compromessi al ribasso e far partire la legislatura.
"Un governo senza i Cinque stelle - afferma Di Maio - non si può fare, un governo contro di noi sarebbe un insulto alla democrazia, in quel caso prepariamo i pop corn perché sarebbe la loro fine".
E anche Salvini, indicando il bivio tra accordo politico o voto, ha voluto inviare un segnale chiaro. Convergenze possibili su una piattaforma programmatica targata Lega, anche attraverso un appoggio esterno o l'adesione di singoli parlamentari, ma nessun 'pastrocchio'.
Le due forze politiche che sono uscite vincitrici dalle elezioni respingono subito eventuali manovre da palazzo, come le definisce per esempio un esponente del Carroccio.
Di Maio si presenta come candidato premier e nei pentastellati non si prevedono altre variabili. Ma anche nel partito di via Bellerio non sono previste alternative a Salvini. Berlusconi romperebbe l'alleanza Lega-FI, sottolineano fonti parlamentari, se si facesse coinvolgere in progetti che escludono il segretario del partito di via Bellerio da palazzo Chigi. "Significherebbe tradire gli elettori", questa la tesi.
La Lega non considera possibile altri nomi come quelli di un Toti o di un Maroni e neanche l'eventualità che a palazzo Madama si intesti una partita per portare sullo scranno più alto un moderato, magari anche l'azzurro Romani, con l'eventuale astensione tecnica dei dem al ballottaggio.
E se si tornasse a votare?
Gli schemi di M5s e Lega insomma sono uguali anche se divergenti: Di Maio punta a Montecitorio, "pretendiamo - dice - il riconoscimento del voto", il Carroccio al Senato. Un dialogo tra le due forze politiche, però, appare inverosimile.
Sia Lega che M5s intendono restare in sostanza nel proprio perimetro, appellarsi al Parlamento per trovare i numeri necessari senza snaturare minimamente né il proprio programma né il proprio profilo.
Ecco perché, in mancanza di cambiamenti da qui a qualche settimana, sulla partita sulle presidenze delle Camere ci potrebbe essere una prova di forza in entrambi i fronti. E la trattativa sul governo, se non dovesse essere sbloccata dal Quirinale con il giro delle consultazioni, porterebbe ad un cambio di passo.
A dirla con le parole di un esponente della Lega potrebbe rimanere il governo Gentiloni per gli affari correnti e tutto si giocherebbe in Commissione Affari costituzionali per modificare la legge elettorale, magari introducendo quel premio di maggioranza che, ha sostenuto anche oggi Giorgia Meloni ("Non siamo disponibili a governi diversi da quello di centrodestra", ha anche detto la presidente di Fdi), avrebbe consentito alla forza arrivata prima di governare.
In quel caso le urne potrebbero esserci ad ottobre: il governo che ne uscirebbe fuori potrebbe affrontare meglio la legge di stabilità e cercare di realizzare le promesse fatte ai cittadini. Ma anche uno scenario simile si scontra con diversi fattori: il primo è che il Capo dello Stato, è convinzione di tutti i partiti, difficilmente potrebbe accettare elezioni a breve; il secondo è che sulle regole del voto difficilmente si potrà arrivare ad un accordo in poco tempo; il terzo è che Berlusconi non vuole andare alle urne, anche perché - spiegavano ieri fonti azzurre - "FI potrebbe uscirne con le ossa rotte ed essere inghiottita dal progetto del partito unico".
Il Pd si interroga sul suo ruolo
Si attende ora lo 'show down' nel Pd, fermo restando che Rosato ha escluso sia un sostegno alla Lega che la paura del voto. Il Carroccio auspica che sia Berlusconi a tessere una tela con una parte dei dem, ma nel partito di via Bellerio non si esclude che si arrivi ad un esecutivo Pd-M5s, portato - questa la tesi - dai poteri forti.
I tentativi per superare lo stallo passeranno dai contatti che i leader terranno la prossima settimana. È previsto un giro di 'consultazioni' sia sulle presidenze delle Camere che sui punti qualificanti della legislatura. Ovvero si cercherà il dialogo anche sulle presidenze di Commissione (FI punta alla presidenza della prima alla Camera) e sulle eventuali riforme da fare, a partire proprio da quella elettorale.
"Ma senza una via d'uscita - sottolinea un esponente del centrodestra - Mattarella non potrà non prendere atto dell'impossibilità di formare una vera maggioranza". Del resto il timore sia nel Movimento 5 stelle che nella Lega è quello di dover guidare esecutivi con numeri ballerini e di durata imprevedibile.
Il Def, primo scoglio della legislatura
La prima prova in Parlamento, dopo l'insediamento delle Camere, sarà sul Def. Sia M5s sia il centrodestra si stanno attrezzando. Facendo capire che non accetteranno un documento a scatola chiusa del governo.
Sul Def "abbiamo già le idee chiare e una proposta che renderemo nota nei prossimi giorni. Ci saranno i nostri punti programmatici per il paese. Su questa proposta vogliamo discutere in maniera trasparente e vedere chi ci sta", ha sottolineato Di Maio. Una parte dei dem e di Leu potrebbe aprire qualora arrivassero indicazioni a sostegno della povertà e del lavoro.
Nel centrodestra sono cominciati i lavori per arrivare ad una relazione condivisa, sulla base del programma che punta alla riduzione delle tasse e tra l'altro prevede la flat tax (con aliquota al 15%, visto che la Lega ha preso più voti di FI), un decreto per risolvere i contenziosi fiscali e il no all'aumento dell'Iva. Potrebbe essere proprio la partita sul Def il termometro in Parlamento per capire se all'orizzonte è possibile sbloccare l'impasse e avviare la legislatura con un nuovo governo.