Il balletto Di Maio-Renzi sul confronto tv prima chiesto e poi annullato dal leader M5s entra nel vivo del nodo intorno al quale gira il finale di questa legislatura: la leadership del segretario Pd e il suo ruolo nei mesi e negli anni a venire. Per giustificare la decisione di annullare il duello tv, Di Maio ha sostenuto che il Pd è scomparso e Renzi non ne è più leader. Ovviamente l'ex premier ha rilanciato annunciando che lui martedì sarà negli studi di Giovanni Floris. E il contrattacco, come al solito, pare essere lo schema di gioco che Renzi intende mettere in campo per uscira dall'angolo di queste elezioni in Sicilia. Una sconfitta che tutti ora assicurano essere stata più che annunciata. Ma che mostra ancora una volta la indubbia capacità del centrosinistra di farsi del male da solo. Un'arma a doppio taglio che il leader dem intende usare contro la sinistra di Mdp. "Se perde il Pd - spiega un renziano di ferro - non è che vince il comunismo: vincono o la destra o i Cinquestelle".
Intanto domani Renzi sarà in tv avendo a disposizione lo strumento polemico della "fuga" di Di Maio. Che ha raggiunto anche l'obiettivo, insperato fino a domenica sera da Renzi, di costringere gli avversari interni della sua minoranza a mostrargli solidarietà almeno per qualche giorno. "Noi scegliamo il leader con metodi democratici", ha risposto Andrea Orlando all'attacco del delfino di Grillo. La minoranza dem intende chiedere a Renzi di cedere lo scettro di candidato premier, e oggi con qualche dichiarazione l'ha già fatto, ma non può spingersi oltre. Del resto potrebbe trovare la porta aperta: il segretario Pd ha fatto sapere da giorni di essere disponibile sia a primarie di coalizione che a fare un passo di lato nella corsa per palazzo Chigi. Una mossa del cavallo che taglierebbe le ali alle critiche sia della sua minoranza che di Mdp.
Ma i rapporti con il partito di Speranza e Bersani sono al minimo storico dopo l'attacco di domenica a Pietro Grasso che dimostra, per gli ex dem, come il segretari non abbia cambiato pelle e sia il principale ostacolo al dialogo a sinistra. "I pontieri delle due parti sono già al lavoro e raggiungere un'intesa non è impossibile", confida un renziano. Ma Mdp non crede troppo nel passo di lato di Renzi e rilancia chiedendo soprattutto discontinuità nelle politiche. La stessa richiesta viene anche da Campo progressista, da sempre più tenero con Renzi e intenzionato a ottenere soprattutto un segnale sui temi concreti a cominciare dal lavoro e dal welfare. La tentazione del leader Pd dunque è quella di partire di nuovo a testa bassa, con concessioni tattiche, ma sottolineando che sì, in Sicilia c'è stata una sconfitta, ma una regione non è il paese intero e "le elezioni politiche sono un'altra cosa".
Piuttosto, se colpa c'è stata, è stata chi ha diviso il fronte del centrosinistra e ora vuole la testa del leader dem. Un"diktat" che nemmeno i critici interni al partito possono permettersi di accettare. La partita si sposta in avanti, la corsa sarà lunga e infatti nella direzione si lunedì prossimo, oltre alla classica analisi della sconfitta, c'è all'ordine del giorno il nucleo della campagna elettorale: commissione banche, manovra e vitalizi. Tra terreni su cui Renzi vuole andare all'attacco per togliere acqua al M5s ma anche alla sinistra in un confronto che assomiglia molto a una sfida.