“Gallitelli? Non ne abbiamo mai parlato”. Matteo Salvini rende chiaro dopo solo dodici ore che il nome lanciato da Silvio Berlusconi come possibile premier in caso di vittoria del centrodestra, non è frutto di un accordo interno. Anche Renato Brunetta, capogruppo di Fi, derubrica la candidatura del Cavaliere a “esempio di civil servant”. Insomma, ben pochi credono al fatto che Leonardo Gallitelli, ex comandante generale dei Carabinieri, stimato sia a destra che a sinistra, possa essere davvero il nome che il centrodestra potrebbe avanzare a Sergio Mattarella in caso di vittoria per farne il capo del prossimo governo. Il generale era stato nominato dal governo Berlusconi, ma aveva ricevuto all’epoca l’apprezzamento dei Pd Marco Minniti e Roberta Pinotti, allora esponenti di opposizione, oggi ministri dell’Interno e della Difesa. Ma, nonostante il nome sia certamente di peso, il rischio che possa essere solo uno dei tanti che finiranno nel frullatore della campagna elettorale è alto.
Un po’ perché, lo ha ricordato domenica lo stesso Berlusconi, è il terzo nome in pochi mesi tirato fuori dal cilindro del Cavaliere: prima di lui erano già stati fatti i nomi di Sergio Marchionne e Mario Draghi. Un po’ perché non era un nome concordato con gli alleati: Salvini ha ammesso che non ne sapeva nulla. Insomma, in questa campagna elettorale quantomai aperta, mentre nessuno sa chi vincerà e tantomeno se qualcuno vincerà, partiti e schieramenti si tengono le mani libere. Del resto la stessa legge elettorale, il Rosatellum, non prevede che si indichi il candidato premier.
Gli unici che hanno già dichiarato il loro nome sono i Cinquestelle, ma del resto il fatto di correre da soli permette loro di impegnarsi con gli elettori senza dover mediare con alleati. I due schieramenti che si contrapporranno al M5s, centrodestra e centrosinistra, preferiscono invece non avanzare candidature vere ora. A destra, tra l’altro, Berlusconi e Salvini attenderanno di sapere dalle urne chi arriverà primo nella coalizione, tra Fi e Lega, e chi avrà quindi più diritto a fare un nome. E il leader leghista non ha nascosto di voler essere lui in persona a varcare il portone di palazzo Chigi, mentre il presidente di Fi attende di sapere se cadrà il veto di incandidabilità voluto per lui dall’applicazione della legge Severino.
A sinistra si preferisce non bruciare il nome di Matteo Renzi ora, affidandolo a estenuanti trattative tra alleati. Ma nei mesi passati sono circolati anche i nomi dello stesso Paolo Gentiloni, di Marco Minniti. Se poi nessuno vincesse, il nome del premier uscirà da un accordo tra i partiti che sosterranno la maggioranza e Sergio Mattarella. Insomma, al momento le variabili sono talmente tante, che quella di Gallitelli, nonostante il generale apprezzamento guadagnato nella sua carriera, appare poco più che una proposta. In altri tempi si sarebbe definita candidatura di bandiera. Quel che è certo è che siamo solo alle prime mosse di una lunghissima campagna elettorale.