Se non lo avete ancora fatto, andate a vedere la Biennale d’Arte di Venezia. Andate anche se non siete appassionati d’arte, se pensate di non capire le opere contemporanee, se durante l’anno controvoglia visitate una mostra solo perché è di un artista di richiamo che tutti vanno a vedere... Andate.
La Biennale non è solo per mercanti, galleristi, collezionisti, critici, curatori, imprenditori facoltosi, giornalisti di settore. La Biennale è un evento culturale che supera i confini dell’arte in senso stretto, è un evento di costume, è la società internazionale che si mette in mostra, in discussione e vi mette in discussione.
Già, perché quando siete lì, con chiunque vi accompagni, inizierete a confrontarvi.
La Biennale non ama gli animi tiepidi, richiama, strattona, ride in faccia e noi discutiamo, argomentiamo, prendiamo posizione, difficilmente assecondiamo... solo questo sarebbe un motivo importante per visitarla. E invece è solo l’inizio.
“May you live in interesting times” è il titolo scelto da Ralph Rugoff, il curatore della 58esima edizione della Biennale di Venezia. La frase, spiega Rugoff, è stata spesso citata da autorevoli personaggi occidentali che l’hanno riportata come un’antica maledizione cinese. In realtà l’origine non è certa, ma questo ha poca importanza. Interessante è l’idea alla base della “maledizione”. Per tempi interessanti si intendono tempi instabili, minacciosi, caratterizzati da guerre, sommovimenti, insomma tempi di sventure che si contrappongono ai tempi tranquilli, pacifici, piani, in cui non accadono eventi rilevanti.
Il curatore della Biennale riprende la “maledizione” volgendola in positivo. Che tu, quindi, possa vivere in tempi incerti, precari, mutevoli perché questi sono estremamente sfidanti, svegliano le coscienze, generano voglia di riscatto, energia, spingono ad attraversare ponti vacillanti per raggiungere rinnovate e (auspicabilmente) solide visioni.
Il fil rouge della Biennale sta quindi nel mettere in evidenza tutto ciò che dà instabilità al nostro tempo: cambiamenti climatici, violenze sociali, etnico-religiose e razziali, migrazioni, programmi nazionalisti, crescenti disuguaglianze economiche... Inoltre Rugoff, rifacendosi anche all’origine “fittizia” della maledizione cinese, gioca sul tema della produzione di artefatti incerti e sospetti del nostro tempo, uno tra tutti le “fake news”.
I temi della Biennale sono quindi importanti, alti e terribilmente sdrucciolevoli. Avrebbero potuto indurre facili semplificazioni, banalizzazioni, ma la sensibilità della maggior parte degli artisti presenti in Biennale non ha ceduto a cammini facili. Le loro opere non percorrono rotte scontate, ma disorientano il visitatore, lo spingono a porsi domande, lo fanno fermare a riflettere da posizioni eccentriche, avvolgendolo, quasi ipnotizzandolo come fa il grande braccio meccanico dell’opera Can’t help myself di Sun Yuan e Peng Yu.
All’interno di un gigantesco cubo in acrilico trasparente, un imponente braccio meccanico posizionato al centro, agita senza sosta e in tutte le direzioni una pala in gomma che sparge e raccoglie dal pavimento un denso liquido rosso scuro (simile al sangue) gettandolo poi brutalmente in aria e sulle pareti del cubo verso gli spettatori.
La violenza dinamica del braccio meccanico si contrappone alla statica, austera, ma altrettanto spietata immagine dell’opera di Teresa Margolles, Muro Ciudad Juárez: un tratto di muro della città di confine messicana sormontato da filo spinato e crivellato di colpi di arma da fuoco.
Sul tema del confine, inteso nella sua funzione arbitraria e repressiva, e sul tema della censura interviene l’artista indiano Shilpa Gupta con la sua installazione sonora, For, in your tongue, I cannot fit.
Cento microfoni pendono dal soffitto di uno spazio in penombra ed emettono voci che declamano, singolarmente e poi in coro, i versi di cento poeti di varie nazionalità, incarcerati per le idee politiche espresse nelle loro composizioni. A ogni microfono corrisponde un foglio di carta infilzato su un’asta di ferro che poggia sul pavimento. Sul foglio, un verso stampato nell’idioma originale dell’artista declamato.
Al dibattito libero su parole/temi cruciali del nostro tempo si ispira l’opera decentralizzata Thinking Head di Lara Favaretto. Durante i mesi dell’esposizione un gruppo di intellettuali dibatte, in una località segreta, su concetti quali: soglia, amnesia, opacità, potere, solidarietà, cultura, paradosso, confini… Questo “sapere da guerrilla” viene trasmesso in streaming e pubblicato. Parole/temi si collegano poi simbolicamente a oggetti di vario uso disposti dall’artista su ripiani di un vano del Padiglione centrale. In fine, sempre parte dell’opera Thinking Head, è una nuvola di vapore, emessa a intervalli regolari dalla sommità del Padiglione centrale dei Giardini, che avvolge, offuscandola, la facciata del Padiglione, dissolvendo idealmente l’autorità culturale artistica che esso rappresenta.
A dialogare con le opere presenti nel Padiglione Centrale dei Giardini e nelle Corderie dell’Arsenale (i due luoghi della mostra internazionale organizzata dal curatore della Biennale) sono i novanta Padiglioni a cura dei Paesi partecipanti che affrontano temi diversi. La memoria, ad esempio.
Nel Padiglione della Serbia, l’opera Regaining Memory Loss di Djordje Ozbolt, attraverso grandi quadri e sculture, associa le immagini dei ricordi della sua infanzia alle narrazioni storico-sociali imposte nello stesso periodo. Le sculture, soprattutto, interpretano ironicamente le figure archetipe di tanta narrazione artistica socialista jugoslava.
Al tema della memoria e dell’identità è dedicato anche l’intenso video di Larissa Sansour, Heirloom nel Padiglione della Danimarca. In uno scenario asettico e fuori dal tempo, dialogano due donne, una anziana e una giovane, opponendo due visioni del ricordo e dell’oblio. Il ricordo come unica possibilità per sopravvivere, l’oblio come unica possibilità per vivere costruendo un nuovo futuro.
Tanti gli altri temi declinati artisticamente nella Mostra internazionale e nei Padiglioni nazionali per un evento che sazia, soddisfa e riecheggia a lungo nella coscienza.