Quanto meno è ingiusto. È ingiusto esprimere giudizi su personaggi del passato senza un’analisi dei fatti e del contesto storico o peggio ancora seguendo schemi di pensiero semplificati. E di giudizi ingiusti su Margherita Sarfatti ne sono stati espressi tanti.
La sua figura, negli ultimi anni della sua vita e ancor più dopo la sua morte, è stata inserita a forza in una cornice angusta che non ha reso giustizia a una personalità dalle molte sfaccettature, a una donna moderna, colta, sensibile, potente, ma anche fragile che ha avuto un ruolo importante nella cultura italiana nella prima metà del Novecento.
La mostra in corso al Museo del Novecento a Milano racconta Margherita Sarfatti senza stereotipi e ricostruendo quella che fu la vita artistica e culturale dei suoi anni.
Sono gli anni di inizio secolo e Milano, centro dinamico, vivace, pieno di energie, è un laboratorio di idee ed è attraversata da personalità importanti come Anna Kuliscioff, Filippo Turati, Ersilia Majno che promuovono l’emancipazione sociale della classe operaia e delle donne. Pittori come Mario Sironi, Carlo Carrà, Umberto Boccioni, Luigi Russolo si fanno interpreti di quelle idee.
Margherita Sarfatti arriva a Milano da Venezia a ventidue anni, si inserisce in quel clima, fa parte della élite alto-borghese, è iscritta al Partito socialista, crede nel progetto di una bellezza per tutti che parli non solo agli esperti e agli intellettuali, ma anche a un nuovo pubblico composto da “fanciulli, lavoratori, impiegati, commercianti, operai, inesperti di canoni e tradizioni estetiche”. Con Boccioni prima e, dopo la sua morte, con Mario Sironi, la pittura di quegli anni si focalizza sulla città moderna e le sue periferie. La interpretano nei loro dipinti anche Anselmo Bucci e Leonardo Dudreville.
Di Margherita Sarfatti vengono raccontate la passione per l’arte, le mostre che organizza, gli artisti che scopre i testi di arte e di critica artistica che scrive (Segni, colori e luci,1925 e Storia della Pittura Moderna, 1930), ma anche le contraddizioni tra gli ideali che sostiene e la ricchezza che ostenta.
Il suo ruolo nello sviluppo della cultura del tempo è rilevante e mai subordinato alla politica del tempo benché ne faccia parte e nonostante la vicinanza a Benito Mussolini. Nel suo salotto di Corso Venezia si radunano letterati, poeti, musicisti, politici. Sostiene i Futuristi – Boccioni e Russolo – e poi gli scultori Medardo Rosso, Adolfo Wildt, gli artisti del gruppo Novecento, Mario Sironi, Achille Funi, Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, e del successivo gruppo Novecento Italiano. Orienta il gusto dell’epoca e gli acquisti pubblici.
Per il sostegno all’intervento dell’Italia in Guerra viene espulsa dal Partito socialista. Dopo la guerra si avvicina al Partito fascista e a Mussolini, ma se ne allontana dopo circa venti anni quando questi avvia l’avventura coloniale e stringe l’alleanza con Hitler. Con la proclamazione delle leggi razziali del 1938 Margherita Sarfatti (ebrea di nascita) lascia l’Italia, dove tornerà nel 1947 ormai estranea al nuovo contesto del Paese.
Nelle sale della mostra organizzata al Museo del Novecento sono raccolti documenti relativi alla vita di Margherita Sarfatti e opere di pittori e scultori che hanno lavorato nella prima metà del Novecento, molti dei quali ricevettero il fondamentale incoraggiamento e sostegno della scrittrice e critica d’arte.