La crescente disuguaglianza economica all’interno dei Paesi, costituisce uno dei temi di maggiore attualità del nostro tempo.Oggi, 7 cittadini su 10 nel mondo vivono in un Paese in cui la disuguaglianza è sensibilmente aumentata negli ultimi 30 anni. Tra i Paesi del G7, gli Stati Uniti e l’Italia hanno mostrato, tra il 2007 e il 2013, il più marcato aggravamento degli squilibri nella distribuzione del reddito disponibile nazionale.
I livelli estremi raggiunti dal fenomeno sono sintomatici di un sistema economico i cui benefici vengono distribuiti in maniera iniqua tra le diverse fasce della popolazione.
Basti pensare che nel nostro Paese, nei ventiquattro anni intercorsi tra il 1988 e il 2011, il 10% più abbiente della popolazione ha beneficiato di un incremento di reddito superiore a quello della metà più povera degli italiani. Mentre a leggere il dato - capovolgendo la piramide - si osserva come il 10% più povero dei nostri connazionali abbia goduto di un risicato 1% di aumento, corrispondente ad appena 3,7 euro pro-capite all’anno (PPP 2005), a fronte di un incremento annuo di circa 365 euro a vantaggio del 10% più ricco dei nostri connazionali.
Ma un mondo in cui le disparità socio-economiche si vanno acuendo, è un mondo sulla cui tenuta e sul cui futuro regna un profondo senso di incertezza. La disuguaglianza paralizza la mobilità sociale, crea le condizioni per un aumento della criminalità e della corruzione, ed è all’origine di molti conflitti, andando quindi a minare le fondamenta stesse delle società in cui viviamo. Oltre ad alimentare un senso di profonda ingiustizia e inquietudine nei cittadini gli attuali livelli di disuguaglianza pongono seri interrogativi sulle prospettive di una crescita duratura e sostenibile e minano alla radice i progressi nella lotta alla povertàregistrati negli ultimi decenni.
La missione della Presidenza italiana del G7 - “costruire le basi di una fiducia rinnovata” – aveva trovato la sua aspirazione dalla presa d’atto del “crescente scetticismo (…) sulla capacità dei governi di risolvere problemi legati alla loro quotidianità, dalla sicurezza alla sostenibilità ambientale, fino al benessere economico”. Ed era accompagnata dall’annuncio di voler dedicare particolare attenzione a interventi in grado di contribuire – coerentemente con gli impegni assunti dai governi nel quadro dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite - alla riduzione delle disuguaglianze.
Tuttavia nel giorno di chiusura del summit di Taormina - il giudizio sui progressi realizzati sul tema non può essere positivo.
Le discussioni degli ultimi mesi fra i Paesi del G7 infatti hanno prodotto un risultato - la Bari Policy Agenda on Growth and Inequalities - che include dichiarazioni di principio condivisibili ma in cui è assente un piano d'azione concreto e misurabile.
I Paesi del G7 non sono arrivati – così come auspicato dalla società civile - a dettagliare specifiche misure di politica domestica ed internazionale volte a contrastare la disuguaglianza nei contesti nazionali, né hanno predisposto un comune piano d’azione, coordinato ed inclusivo, e un sistema di monitoraggio dei progressi su cui auto-giudicarsi ed essere giudicati dai cittadini.
A questo va sommata la ridotta attenzione alla lotta alle disuguaglianze nei paesi poveri. Punto che rappresenta un altro aspetto critico delle conclusioni del vertice. Le discussioni hanno infatti riguardato il contrasto alla disuguaglianza solo nei Paesi del G7, trascurando i contesti più vulnerabili dei Paesi in via di sviluppo, dove le disparità limitano le opportunità per milioni di persone di affrancarsi dalla trappola della povertà. Le politiche di cooperazione internazionale, l’aiuto pubblico allo sviluppo, continuano ad essere tra le grandi assenti del summit italiano.
Conseguenza? Andando di questo passo l’obiettivo di eliminare la povertà estrema entro il 2030 - così come definito dalle Nazioni Unite – difficilmente potrà essere raggiunto.