Il titolo è una provocazione, lo scriviamo subito a scanso di equivoci. Ciò che sta accadendo in questi giorni su Instagram è semplicemente commovente; la musica italiana, che è uno dei settori, è bene ricordarlo, che più di tutti sta subendo danni chissà come e quando recuperabili, si è letteralmente messa al nostro servizio.
Jovanotti suona tutti i giorni da casa sua; Calcutta e Tommaso Paradiso stanno scrivendo una canzone insieme in diretta Instagram; Giuliano Sangiorgi l’ha pensata domenica scorsa, preparando il ragù, e l’ha subito regalata ai suoi follower; l’etichetta Garrincha Dischi ha addirittura organizzato un festival, venerdì “L’Italia chiamò” ha messo insieme i contributi live (si fa per dire) e video di almeno una settantina di artisti, toccando i sei milioni di contatti su tutte le piattaforme che ritrasmettevano l’evento.
La lista di chi giornalmente suona da casa propria per i propri fans è infinita, tanto che nemmeno proviamo a fare qualche nome, sarebbe oltretutto ingeneroso, artisti grossi e artisti piccoli, tutti comunque uniti per farci ingoiare con meno fastidio il tempo che siamo costretti a passare tra le mura domestiche. E non si tratta di semplici chicche, un altro modo di vendere il prodotto, di tenersi stretti i propri supporter, che prima o poi, e si spera più prima che poi, torneranno ad affollare i concerti dopo l’acquisto di un biglietto.
Questa clausura forzata, al contrario, sta mettendo in evidenza più che l’attaccamento del pubblico agli artisti, l’attaccamento degli artisti al pubblico. Basta aprire una qualsiasi diretta su Instagram per percepire immediatamente quanto manchi il contatto tra queste due entità. Gli artisti si danno in libertà, aprono letteralmente le porte delle proprie case, senza filtri, senza regia, senza volersi raccontare in maniera diversa da quella che sono in realtà, tutti i giorni, a riflettori spenti.
Accolgono tutti, conversano tra di loro sulla piazza virtuale, dove tutti possono sentirli, e poi bevono, ridono, tengono a bada i figli piccoli, spaparanzati sul divano, suonano canzoni del proprio repertorio e cover, qualsiasi cosa gli passi per la testa.
Un’esperienza musicale che potremmo definire totale e, soprattutto, gratuita. Ecco, attenzione, ora è giunto il momento di arrivare al punto, al titolo. Internet, lo sappiamo, l’abbiamo ripetuto all’infinito, ha rivoluzionato il mercato discografico, il modo di comporre, produrre e vendere la musica, di conseguenza anche il modo di guadagnarci per un artista, che si è letteralmente più che dimezzato.
Una situazione questa che riguarda tutti gli artisti del mondo, nessun escluso, e la ragione è molto semplice: non esiste più la vendita del supporto fisico; i cd stanno diventando oggetti vintage, i dischi quasi di culto, vengono ancora pubblicati ma sono venduti quasi come gadget a nerd nostalgici, nessuno comunque potrebbe mai mangiarne dalla vendita.
Gli artisti di vecchia generazione riescono a tirare avanti dignitosamente, chi più, chi molto di più e chi meno, con il diritto d’autore dei brani storici ancora oggi molto passati in radio, molto utilizzati al cinema e in tv; grazie ai soldini che arrivano dalla Siae. Che, diciamolo una volta per tutte, non è una tassa come molti credono, non è questo gigante cattivo che chissà per quale motivo pretende di speculare sulla nostra musica preferita, ma una società che protegge il lavoro di chi fa arte, un’entità sempre più necessaria in un momento storico in cui siamo a un passo dal poterci scaricare gratuitamente dalla rete anche l’ologramma di Gianni Morandi che viene a farci una serenata nel salotto di casa.
Il discorso è molto diverso per gli artisti medio-bassi, alcuni dei quali, basti pensare a fenomeni dai numeri da classifica impressionanti come tha Supreme e ANNA, rispettivamente 18 e 16 anni, sono venuti al mondo quando già la rete la faceva da padrone, quando, per dire, Napster era già considerato preistoria. Come i famigerati indie, quelli che stanno rimodellando i connotati del pop italiano, anche loro a vivere di concerti, di quella famosa aggregazione umana oggi giustamente vietata per decreto.
No live, no money. Il web si è mangiato la discografia, lo ripetiamo, ma non vorremmo che questa ondata di live gratuiti, di questo contatto virtuale così intenso, ci faccia dimenticare la gioia di andare ai concerti, quella sensazione unica che unisce performer e pubblico. Non vorremmo che si consolidasse l’abitudine di non andare a un concerto “tanto quello l’ho già sentito suonare su Instagram durante la quarantena”.
Ecco, se le piattaforme digitali hanno modificato il suono della nostra musica, che si è dovuto adattare per mano dei producer, diciamolo, anche tristemente, alla necessità di dover essere sputato fuori dalle microcasse di uno smartphone; non possiamo permettere che una diretta Instagram sostituisca un live.
Non approfittiamo eccessivamente della generosità dei nostri artisti, che si è rivelata immensa, ben oltre l’immaginabile, certamente ben oltre il dovuto. Questa è una situazione di emergenza, non è e non deve diventare la nostra normalità.
Così come non dobbiamo permettere a noi stessi di abituarci a starci lontani, allo stesso modo non dobbiamo dare per scontata, considerare dovuta la presenza fissa, a domicilio, gratis, dei nostri artisti con la loro musica, nelle nostre case. Il loro lavoro ha un valore e noi, proprio per non vederlo morire o degenerare, dobbiamo rispettarlo, dobbiamo pagarlo.
Anzi, al contrario, chiusa questa brutta faccenda dovremo far sentire ancora più forte la nostra gratitudine per quello che stanno facendo per noi e ricominciare ad affollare, più di prima, stadi, palazzetti e, mi raccomando, anche piccoli club, quei posti dove si formano gli artisti del futuro. Siamo in guerra contro un mostro invisibile, quindi, ovviamente con la speranza nel cuore che questa situazione finisca una volta per tutte, una volta per tutti, dobbiamo considerare l’eventualità di restare a casa ancora per un bel po'. E anche che ne passerà dunque di tempo prima di poterci ritrovare ancora aggrappati in prima fila ad una transenna a ballare appiccicati sudati e felici. Ora l’importante è non dimenticarci quanto è bello.