Un concerto di Salmo ti lascia spiazzato, non è un live come tutti gli altri. Sulla carta dovrebbe essere un concerto, ma sarà quel nome d’arte lì, tutta quella gente lì, venuta a farsi dire in faccia ciò che ha sentito dentro un album, fino a consumarlo, come il classico pellegrinaggio verso un non luogo della sacra cultura cristianoide, ma è come se fossi entrato all’Ippodromo delle Capannelle e uno stargate ti avesse teletrasportato a Los Angeles, o su un altro pianeta, che poi in linea di massima è la stessa cosa, perché quello che vedi al concerto di Salmo in Italia lo vedi solo a un concerto di Salmo.
Un luogo altro dove succedono altre cose, uno di quei luoghi da film, dove hai la possibilità di andare a sentire il meglio del meglio che il business della musica mondiale può offrire, come te lo eri sempre immaginato, ma stavolta il tutto si materializza sull’Appia a Roma. Ottimo. Ecco, un concerto di Salmo più o meno ti da questa impressione. Un pellegrinaggio quindi, si, solo più divertente, ma equamente mistico.
Salmo, sul palco del Rock in Roma su una sedia a rotelle elettrica a causa di un recente infortunio, è di gran lunga il miglior artista che l’Italia possa schierare in campo in questo momento, una superstar dal respiro internazionale, un artista preciso, puntato, cablato alla perfezione sulla sua poetica, intrattenitore e complice del suo pubblico allo stesso tempo, figo e cattivo quanto basta, su quella sedia a rotelle lì è Stephen Hawking che incontra l’Alessandro Borghi di “Suburra” che incontra il miglior rap su piazza.
Se fosse un calciatore sarebbe Ibrahimovic, se dipingesse sarebbe Banksy, ma sul palco è Salmo e non c’è bisogno di scomodare nomi storicamente più eccellenti. Perché Salmo rappa, si, ma il suo carisma colora le sue barre fino quasi a stamparle nell’aria sopra la sua testa, come sottotitoli di qualcosa che più che vedere senti, dentro. Stai lì e ti viene il dubbio che Salmo non si sia fatto biondo, ma semplicemente si sia dimenticato di indossare i guanti per lavarsi la testa che, a contatto con quelle sue mani da alchimista, gli è diventata d’oro anche quella. Come qualsiasi cosa che tocca.
Ha pubblicato quest’anno un album, “Playlist”, che contiene almeno otto singoli, uno su tutti la splendida “90MIN”, con il quale apre il concerto, se proprio insistete a volerlo chiamare concerto, rendendo la terra delle Capannelle infuocata da subito. Un album che straccia tutti i record di questo nuovo mercato discografico internettiano, che ok, è ancora vergine sotto molti punti di vista, quindi anche la parola record risulta un po' fine a se stessa considerando che all’orizzonte già si può facilmente supporre si arriverà a raccogliere numeri ora inimmaginabili ma totalmente a portata di click, ma, ehi, buttalo via.
Nel 2012 fonda la Machete Empire Records, una crew in pratica, che ogni tot si ferma a registrare insieme un disco a volumi, si intitola “Machete Mixtape”, il quarto capitolo di questa saga rap è uscito da qualche giorno, ha messo la bandierina sulla classifica di Spotify Italia prendendo possesso assoluto del podio e spazzando i tormentoni estivi sotto il tappeto; ha piazzato nove brani nella Global Chart e al momento è l’album italiano che ha raccolto più stream nella prima settimana di uscita, totale: 54 milioni. Record. Mica male.
Ci si chiede quale possa essere la ricetta, in cucina uno chef che volesse mantenere segreti i propri trucchetti risponderebbe sornione: “L’amore”. Salmo non è tipo da nascondere assi nelle maniche, anche perché nemmeno porta abiti con le maniche, così il mistero è assai facile da spiegare: è bravo. È dannatamente bravo. Fa rap si, ma attaccandogli addosso un’etichetta si rischia di mortificarlo e, cosa assai peggiore per chi ha il dovere, come chi vi scrive, di riportarvi le emozioni di un live, anche di smorzare una descrizione che merita un ragionamento ben più approfondito.
Salmo si accompagna a dei producer e musicisti che con un sound che ammicca anche generi a diversi, rock e funky su tutti, illuminano versi già di per sé geniali. Il suo carisma scavalca in scioltezza anche l’handicap della sedia a rotelle: con un ginocchio in meno sotterra tutti, e con tutti intendiamo almeno il 99% degli artisti italiani al momento in attività nel nostro paese, che dovrebbero farsi accreditare per avere la possibilità di star lì con il taccuino a prendere appunti su come si mantiene alta quella piacevolissima tensione alla quale qualsiasi spettatore, che acquista un biglietto per un qualsiasi concerto, avrebbe diritto.
Il rapper sardo è un artista che potremmo, dovremmo, esporre in vetrina sulla via che porta alla discografia mondiale, perchè Salmo è italiano, è un nostro patrimonio, e può dare del tu ai re del genere su tutte le estremità dei punti cardinali. Il pubblico lo segue, non ne ha mai abbastanza, lui ci gioca, ad un certo punto lo apre anche, come Mosè con le acque del Mar Rosso, letteralmente, creando un corridoio buono per un po' di sano pogo, assicurandosi prima che nessuno si faccia male.
È di gran lunga il personaggio più cool della scena, con quel broncio perenne che puzza di rabbia, non adolescenziale, futile, fine a se stessa, scontata, ma come di chi con le sue parole vuole spiegare la propria generazione, le proprie problematiche. È il rap che ci piace, quello suonato, profondo, che si ricollega alla vera natura del genere senza perdere di vista le nuove sonorità. E, dato che ci siamo, lanciamo nell’etere il sasso dicendo che non è più possibile, forse nemmeno tollerabile, che lavori di autori come Salmo, ma potremmo affiancargli tranquillamente anche Willie Peyote, Gemitaiz, Nitro, Rancore, Fabri Fibra, Ghemon, Marracash, Caparezza, Piotta, e sono i primi che ci vengono in mente, vengano trattati, specie dagli addetti ai lavori, come se la loro drammaturgia fosse meno impegnata e complessa, solo perché con radici meno nobili non venga valutata e, come per esempio sa fare bene il Premio Tenco (Dio lo abbia in gloria sempre), valorizzata e celebrata. Perché, giusto per citare il premio più serio che in Italia un artista possa ricevere, “Playlist” è un album che meriterebbe un riconoscimento che vada ben oltre quello tributato dal pubblico con i numeri.
E a proposito di pubblico, sarebbe il caso che anche quello più intellettualoide allenti le redini del proprio hipsterismo e ammetta a se stesso che il mood tradizionalmente “terra terra” del rap vale almeno quanto, in diversi casi molto di più, quello di un qualsiasi audace sperimentatore a tutti i costi, di un qualsiasi cantautore dall’animo forzatamente bohemien, di una qualsiasi poetica tanto ermetica quanto stantia.
Salmo, per esempio, nelle sue canzoni racconta qualcosa, se stesso, certo, ma anche la cultura della quale è figlio, la propria realtà, la propria terra, la propria storia, un disagio maturo e consapevole, che non gli lascia spazio o tempo per le tipiche spacconerie tanto in voga tra i cuginetti della trap, che su Instagram blasta sonoramente quando documentano sui loro profili il consumo di eroina e cocaina come se fosse una chat tra amici su whatsapp, e soprattutto come se non fossero seguiti da un pubblico di giovanissimi che magari non possiede ancora gli strumenti per distinguere un artista da un coglione.
Allora nei suoi pezzi non ascolterete mai vanterie su quante “bitch” si porta a letto, ma storie di amori, non per forza infiocchettati, anzi, difficili, come lo sono gli amori veri, interessanti come una notte con una groupie non sarà mai. Così, giusto per fare un esempio. La verità è che guardare le classifiche estive italiane di solito lascia un bavoso senso di frustrazione e preoccupazione, ti percuote la testa un pensiero costante: “Ma che razza di paese è quello che celebra Elettra Lamborghini, Fred De Palma e Benji&Fede? Cui sentimentalismo viene stuzzicato solo da artisti reggeaton portoricani?”, poi per fortuna arrivano personaggi come Salmo, che riuniscono in una comunità unanime il grande pubblico e la grande qualità, a dimostrazione del fatto che è scemo (il pubblico), si, lo è, di sicuro, lo è sempre stato, non è che il sacrosanto diritto di ascoltare musica brutta rende quella musica oggettivamente meno brutta, ma tutto fino ad un certo punto.
Il tour estivo di Salmo ancora è solo all’inizio, il consiglio è assolutamente, che siate appassionati di rap o meno, di andare a sentirlo, di non perdervi questo spettacolo, di prepararvi ad una festa di rara entità. Una roba che da senso ai soldi, tanti, spesso decisamente troppi, che si spendono per il biglietto di un concerto. L’Italia che suona (bene) non è morta, anzi, ma ha bisogno della giusta attenzione e del giusto tributo affinchè si diffonda e affossi quella musicalità brutta, superficiale, che puzza di marketing ammuffito; quella insomma che ci toccherà ascoltare per tutta l’estate. Insieme possiamo vincere.