Dieci anni fa usciva “Brunori SaS, Vol.1”, il primo disco del cantautore calabrese che di lì a poco non solo avrebbe conquistato un pubblico decisamente più vasto, ma ne avrebbe combinate di molto più grosse. Ma sì, tutto parte da quel “Vol. 1”, che con questo titolo già si presenta come un antipasto a qualcosa che sarebbe arrivato dopo, cosa che si realizzerà, puntualmente.
La caratteristica di Dario Brunori - oggi che anche il grande pubblico ha imparato a conoscerlo ed amarlo - essendo personaggio trasversalmente adorabile, è proprio quella ferrea volontà di andare oltre. Il cantautorato italiano ne ha avuti di interpreti capaci di portarci oltre, chi con una struttura poetica tanto illuminata quanto ferrea come Fabrizio De Andrè; chi con una filosofia libera, criptica, surreale, come Franco Battiato; chi con una capacità immaginifica divina e meravigliosamente spicciola come Lucio Dalla…così, giusto per citarne qualcuno. In pochi sono riusciti in un’impresa, se vogliamo meno intellettualoide ma altrettanto efficace, di farlo con la semplicità disarmante con il quale c’è riuscito in così poco tempo Brunori Sas.
La musica si può spiegare fino ad un certo punto, poi subentra una componente del tutto irrazionale, del tutto incontrollabile sia da parte di chi fa musica che da parte di chi la ascolta: qualcosa che ti si apre nel petto senza una spiegazione apparente e che permette a quelle parole, che qualcuno ha scritto e registrato chissà dove, chissà quando e chissà perché, di diventare le tue parole, il tuo modo di guardare al mondo e alla vita, come se tutto ciò che fino a quel momento ti era rimasto sulla punta della lingua dell’anima si materializzasse su un pentagramma e tu ci finissi infilzato come un pesce spada, incapace di sfuggire a quegli attimi di introspezione.
Roba seria insomma, una freccia nascosta nella faretra di pochi, anzi pochissimi. Oggi chi ama la musica, ben oltre il mero intrattenimento da lido estivo, cerca concitatamente quei lampi di genio, qualcuno, magari ancora in attività, o perlomeno ancora in vita, che possa interpretare ancora una volta il proprio pensiero.
È così, con questo atteggiamento, che siamo arrivati al giugno del 2009, quando sbarca sul mercato Brunori SaS con il suo “Vol.1”, con la sua chitarra, con la sua voce che richiama un po' a Rino Gaetano, ma lui ha poco più di trent’anni e con quella chitarra interpreta una poetica tutta nuova, tutta sua.
In quel disco, portato in giro nei piccoli club di tutta Italia, isole comprese, con 140 date, ascoltiamo dei pezzi che diventeranno classici del suo repertorio come “Italian Dandy”, “Come stai” e “Guardia ‘82”, che oggi, in occasione di questo particolare anniversario, Brunori decide di reinterpretare indossando gli stessi vestiti utilizzati nel video ufficiale, di nuovo al mare, in un commovente e divertente remake.
Tutto dunque è partito con una schitarrata, Brunori si presenta come cantautore schietto, spontaneo, le canzoni si bevono come quelle del miglior Battisti e ti mettono alle strette come quelle del miglior De Gregori, ma è tutta un’altra cosa, i tempi che viviamo, d’altra parte, sono decisamente diversi. È il cantautore che un’intera generazione stava aspettando; il cantautore giusto nel momento giusto, in omaggio alla sacralità della tempistica che si è già divorata tutta una serie di suoi colleghi altrettanto in gamba.
Già, perché Brunori è l’ultimo arrivato di una generazione di artisti di un panorama indipendente italiano praticamente invisibile nel marasma dei talent musicali che decretano col televoto da casa vita e morte di un progetto, e contemporaneamente il primo di un esercito che in pochi anni si divorerà il mercato fino ad uccidere il concetto stesso di “indie”, che muta fino a divenire questo bizzarro ibrido a metà strada tra la rete e il mainstream.
Brunori surfa l’onda giusta, sfrutta abilmente la voglia da parte del pubblico di qualcosa di nuovo e valido, la stanchezza di un’intera classe di radical chic (nella sua accezione più nobile) che non ne può più di doversi regolarmente affidare a filosofie e concetti di artisti di un passato ormai troppo lontano: Brunori invece è nuovo, è fresco, è impegnato, è semplice ma mai banale e, soprattutto, è tutto loro, di quella classe di sinistroidi 2.0, di quei ragazzi che sfuggono alla mediocrità del mondo con un intellettualismo a tutti i costi, meliorist presi di mira come anacronistici ingenuotti, che lo hanno invocato, sostenuto e desiderato fino a vederlo sbocciare e divenire questa bellissima realtà.
Si chiama bravura o anche talento, certo, ma anche, come dicevamo, tempistica, in italiano “culo”, che non fa mai male a nessuno e che senza il quale nessuno è mai riuscito a fare alcunché di significativo. E anche Brunori si sceglie il suo pubblico in una miscela filosofica social reformer esplosiva che comincia ad assumere un significato quasi sociologico. Brunori da quel “Vol. 1” va oltre, diventa esattamente e biologicamente, geneticamente, l’immagine che il suo pubblico vede in lui: una figurina hipster in tutto e per tutto, dall’occhiale alla barba fino al vestiario.
Ma, soprattutto, Brunori insieme al suo pubblico, con il passare degli anni e dei dischi, cresce, matura, completando con “Vol. 2 Poveri Cristi”, che cavalca questo rinnovato desiderio di nostalgia, umanità e vecchi valori, e con “Vol.3 Il cammino di Santiago in taxi”, più consapevole, sfrontato e accattivante, una trilogia che vale quanto un esame del DNA, una fotografia fedele di ciò che si porta dentro lui e con lui tutta la carovana che gli sta appresso.
Nel frattempo Brunori SaS è anche diventato nostro amico, quello che ti presta le parole quando ti mancano, che ti da una pacca sulla schiena quando le cose non vanno per il verso giusto, che ti racconta quanto alle volte la vita sa essere difficile e quanto alle volte meravigliosa nelle sue piccole e più insignificanti manifestazioni; ti fa pensare con tenerezza ad un’epoca che non c’è più, ai vecchi amori, ai vecchi viaggi, ti prende per mano mentre guardi i tuoi genitori invecchiare e andare via, senza lasciarti mai un momento da solo, chi ama la sua musica non corre mai questo rischio.
Brunori si lascia quindi dietro anche i ventenni che non possono (non ancora) capirlo, ed è così forse che si caccia via dal fenomeno indie per prendere posto tra i grandi del cantautorato della sua generazione. Percorso che sfocia e si consacra in “A casa tutto bene”, un disco praticamente perfetto, dove Brunori azzarda anche di più musicalmente, senza perdere se stesso e la sua sfacciata onestà; un disco dove viene fuori, con la stessa impetuosità di un iceberg pronto a tranciare lo scafo di un transatlantico, un altro aspetto del suo universo musicale: Brunori scrive canzoni necessarie, le canzoni che nessun altro al momento scrive con la stessa arguzia.
È una star ma appare sempre come quel ragazzo con la chitarra che viene dall’entroterra calabro, e la cosa non appare mai come un tecnicismo di maniera frutto di una strategia ben precisa, è che Dario Brunori quello era e quello è rimasto. Un musicista, niente di più, cosa sempre più rara da trovare nella sua apparente banalità, talmente rara che il suo modo di raccontare le cose diventa materiale buono per i suoi concerti, a tratti veri e propri show di teatro canzone, e anche per la tv dove conduce un programma incentrato totalmente sulla sua visione del mondo dal titolo “Brunori Sa”.
Questa è la storia, ed è partita esattamente dieci anni fa, quando in “Come stai” chiedeva “Di cosa vuoi che scriva? Di cosa vuoi che canti?”, risposta semplice: di tutto ciò che ci circonda, in linea di massima ci si fida, va bene tutto, basta che sia ancora avanti, ancora tutti insieme, ancora oltre.