Alla fine “Simulation Theory” ha visto la luce, l’ultima uscita dei Muse, la band inglese da venti milioni di dischi venduti, quelli che hanno ufficialmente in mano lo scettro del rock mondiale ereditato dai grandi degli anni ’80, a due anni da “Drones”, tornano nei negozi di musica, pardon, anche, ma soprattutto su tutte le piattaforme disponibili.
Quanto indietro bisogna andare per restare al passo? È questo che ci si chiede ascoltando il disco. Quanto è corretto per una band come i Muse inseguire le sonorità che più “vanno” invece di imporle?
I Muse venderebbero comunque
Intendiamoci, la nostra opinione è che un compromesso vada trovato e non per un discorso legato necessariamente alle vendite, i Muse venderebbero anche pubblicando le cover di Fedez, ma perché è giusto che siano le realtà musicali più iconiche a dettare il passo. “Simulation Theory” è un album, al quale seguirà un tour, che vuole far viaggiare dentro una realtà virtuale futuristica, ma quanto resta credibile l’atmosfera quando ascoltando i pezzi ciò che ti viene in mente è la buon’anima di Prince, o certe sonorità, le più cafone, degli Eurythmics.
Pare che dietro le canzoni ci sia la sapiente mano di producer dediti più al pop e infatti non si fa fatica a definirlo il loro album più adattato al genere. Insomma, ci si chiede se non fosse più intelligente e costruttivo citare se stessi. Ma il disco, intendiamoci, non è spiacevole, anzi, se magari mettiamo da parte qualche azzardo di tentato crossover tra generi diversi come in “Break it to Me”, poi si fa ascoltare.
Non aspettatevi Madness nè Uprising
Certo, se cercate “Madness” e “Uprising” resterete delusi, ma se cercate nelle uscite di oggi uscite simili a quelle di quasi dieci anni fa capirete da soli che state inseguendo un’utopia. Non che loro non ci provino, anzi, sembra proprio quello l’intenzione principale, dichiarata, del disco; quella di portare i Muse, che già si sono incaricati di tirare per la coda certe sonorità rockeggianti anni ’80 nel 2000 di andare oltre e di portare, alle soglie del primo ventennio di quei 2000, quella declinazione rock ancora più avanti.
Non si spiegherebbe altrimenti la realizzazione di pezzi come “Dig Down” dove sembrano autocoverizzarsi, autocitare i tempi in cui citavano gli U2. Ma è tutto troppo complesso da realizzare, troppo complesso da accettare per gli ascoltatori, normale che ne venga fuori qualcosa che sa vagamente di tirato per le orecchie.
Un viaggio nel tempo
Ma poi viene in mente che forse la proposta è proprio quella di un viaggio nel tempo, in fondo anche la cover lo suggerisce, forse anche per questo a disegnarla è stato chiamato Kyle Lambert, lo stesso che ha curato l’immagine rappresentativa di Stranger Things e, in passato, di Jurassic Park. Forse il disco pretende di diventare semplice colonna sonora di quel viaggio. E allora tutto ci appare improvvisamente, perlomeno, giustificato.
Poi ogni discorso decade nel momento in cui ci rendiamo conto che stiamo vivisezionando la pagliuzza e che, naturalmente, nel mezzo dell’oceano di musica mediocre che siamo obbligati ad ascoltare tutti i giorni, “Simulation Theory” si fa largo in scioltezza senza nemmeno bisogno di sgomitare: stiamo parlando comunque di un altro livello.
Tutti i grandi si sono messi alla prova
E se si guarda alla storia del rock con meno sentimento, cosa dovuta a chi scrive ma meno, e lo capiamo, a chi ascolta, quasi tutte le altre band storiche si sono messe alla prova con sonorità che li portavano ai confini della propria identità da rocker, e non è mai morto nessuno. Semplicemente quei dischi sono suonati meno, ripresi meno nei greatest hits e dimenticati molto di più.
Ci vengono in mente, forse perché anche loro inglesi, i Queen, che l’universo musicale l’hanno esplorato che nemmeno il capitano Kirk in tutte le stagioni di Star Trek, e non tutti gli esperimenti si sono rivelati efficaci, ma nessuno mette in dubbio che i Queen siano i Queen. Anzi, c’è chi lo fa, ma è una patologia drammaticamente diversa.
Ma tornando ai Muse, “Simulation Theory” non sarà di certo ricordato come l’album più riuscito, ma ciò non toglie che le due date italiane di luglio del tour restano l’evento musicale estivo più atteso. I progetti musicali che, come il loro, al momento, riescono a far vivere durante i live un’esperienza così coinvolgente e totale, si contano, stando larghi, sulle dita di una mano.