Siamo un paese fortemente pop, forse uno dei più facilmente addomesticabili. Basta capire il funzionamento di un meccanismo social(e) per mettersi in prima linea con il piffero in bocca pronti a guidare intere colonie di topi. In musica più o meno funziona così, specie d’estate, la stagione dei tormentoni, che già la parola stessa indica qualcosa di non proprio bello, una parola che riconduce al tormento, a qualcosa che non si brama ma si subisce, come se già caldo afoso e cocktail annacquati non fossero sufficienti.
La nuova era discografica che ci ha investito da pochissimi anni ha spalancato le porte del mercato a tutti, “venghino siori venghino!”, per cui al rialzarsi delle percentuali che ci riconducono a musicisti che hanno senso di esistere e senza la rete sarebbero rimasti a suonare nelle loro camerette, dobbiamo anche registrare le infelici scoperte, da parte del pubblico, di personaggi che avrebbero fatto bene da quella cameretta a non uscire mai.
È solo una questione di percentuali, ripetiamo, niente di più, non è che la musica brutta se la sia inventata Spotify, è solo che oggi è molto più facile trovarsela tra i piedi. Stesso discorso per quanto riguarda i tormentoni, non è che non siano mai esistiti, e se pensiamo che fossero estremamente migliori quelli di vent’anni fa, quelli che ascoltavamo quando eravamo più giovani, è solo perché ognuno di noi, più o meno inconsciamente, abbina i propri ricordi estivi a determinata musica, per cui non è che pensiamo che i nostri tormentoni fossero migliori, ma che siano proprio i nostri ricordi ad essere migliori.
Questo non solo perché di media, come popolo, e basta dare uno sguardo a qualsiasi classifica vi capiti sotto mano per averne prova, di musica non ne capiamo granché, ma anche perché siamo anche ciecamente presuntuosi. Il web però è riuscito a moltiplicare l’agonia legata a quella che per ogni rockettaro che si rispetti è una stagione acusticamente tremenda, dilaniante, urticante, insomma, una vera e propria tortura.
Già, perché una volta di tormentoni ne arrivavano giusto un paio l’anno, oggi subiamo una vera e propria invasione; i tormentoni ci piovono in testa, ci inseguono per strada, ci accompagnano anche a fare la spesa mentre ci godiamo il refrigerio del banco frigo, perversione ai limiti degli atti osceni in luogo pubblico che si manifesta in maniera sempre più indecente con l’avanzare dell’età.
Voglio dire, tu stai lì a far finta di scegliere tra una marca e un’altra di feta greca e sei obbligato a sorbirti quegli irritanti motivetti estivi, quelle perle di allegria immotivata, a riflettere abbattuto su quei video pieni di danzanti donnine scosciate cui esistenza non hai mai avuto il piacere di constatare di presenza, a deprimerti di conseguenza giudicando la tua vita in relazione alla casalinga bicentenaria accanto a te, che nonostante il caldo torrido trova l’energia per lamentarsi col salumiere del prosciutto crudo dell’ultima volta. Tutto questo non è giusto, allora serve intervenire.
Non essendo però capaci di scrivere canzoni e troppo pigri ed educati per eliminare tutti quelli che ascoltano o producono musica disimpegnata, l’unico modo per mettere in riga questa fabbrica di gioia infondata è dargli un voto e, speriamo, rimandarli a settembre. Certo, è stato necessario ascoltarli tutti, attentamente, uno ad uno, rendendo inevitabile ciò che avevi provato in tutti i modi ad evitare, ma i nemici vanno affrontati e di petto, così siamo lieti di presentarvi il pagellone dei 15 tormentoni dell’estate 2019:
“Calipso” di Charlie Charles, Dardust, Sfera Ebbasta, Mahmood e Fabri Fibra
Voto: 4,5
Che spreco, si son messi lì in cinque per fare quello che un portoricano fa da solo riuscendo a conquistare il mondo. Lo schema è uguale: ritmo estivo su testo vagamente romantico, una sorta di importazione forzata di un prodotto straniero che va fortissimo, l’effetto è più o meno quello, al contrario, degli spaghetti soffocati in un mare di ketchup; l’unica differenza con i testi spagnoleggianti è che loro cantano in italiano e si capisce benissimo (se lo si vuol capire, è chiaro) quanto ciò che viene espresso sia vuoto e di maniera. La storia di Calipso, ragazzino evidentemente sponsorizzato dalla Algida, non convince, eppure Charlie Charles è il producer che sta dietro molti successi trap, un ragazzo dall’inventiva illuminata, su questo non ci piove, che è riuscito ad inquadrare un percorso stilistico che insegue con così tanta ferocia che prima o poi (più prima che poi) la bolla scoppierà, è inevitabile.
Parliamo di quella trap che deve a lui e ad una manciata di stylist dal gusto orripilante, il successo numerico incredibile portato a casa da personaggi tipo Sfera Ebbasta; al momento il nemico pubblico numero uno della musica italiana, cui vengono attribuite le peggiori nefandezze; e nessuno che si azzardi a dire invece la verità: non è cattivo, non scrive testi provocatori lanciando messaggi pericolosi per i suoi ascoltatori, nella maggior parte dei casi giovanissimi, è che, semplicemente, come musicista è scarsetto, più adolescenziale che giovane, più scuole medie che università, più presuntuoso che ribelle, più influencer che autore. È da condannare per questo? No, solo da non ascoltare. Riguardo gli altri due artisti coinvolti, speriamo sinceramente che con questa uscita Fabri Fibra abbia finito di pagare il mutuo di casa così da poter tornare a fare la sua musica, da solo, e a non immischiarsi più in questo genere di operazioni.
“Jambo” di Takagi&Ketra, Omi e Giusy Ferreri
Voto 4
Takagi&Ketra possiedono le chiavi del castello, per loro la musica è come un bancomat, sanno fare il loro lavoro, e più o meno è sempre lo stesso, e sanno ad ogni nuova uscita che dovranno andare a ritirate i compensi economici muniti di carriola. "Roma-Bangkok", "Vorrei ma non posto", "L'esercito del selfie", “Da sola (in the Night)", “Amore e capoeira”…sempre la solita irritante solfa, come se prendessimo gli scarabocchi supercolorati di un bambino, lì incorniciassimo come si deve e li spacciassimo per arte contemporanea. Ecco, se un musicista è un pittore, loro sono degli ottimi corniciai. Con questa “Jambo” concludono (speriamo) la trilogia con Giusy Ferreri, che se non fosse per questa strana cotta che il duo di producer prova nei suoi confronti, probabilmente canterebbe giusto alla sagra della cozza di Ganzirri (che ci sentiamo di consigliare vivamente, perlomeno fin quando saremo sicuri che Giusy Ferreri non ci finirà a cantare). Il video è ambientato in Tanzania, un paese che, ci sentiamo di dire, con tutti i problemi che c’ha, non si meritava anche Giusy Ferreri.
“Ostia Lido” di J-Ax
Voto: 4,5
Ok, il senso del pezzo è facilmente intuibile e anche espressamente nazionalpopolare: che ce frega de Portorico, noi preferiamo Ostia Lido. Capiamo che in tempo di nazionalismo a tutti i costi si potrebbe anche trovare qualcuno che ci crede davvero, non fosse che J-AX non può esimersi da girare il video proprio ad Ostia Lido, luogo magico capace di far assumere a qualsiasi pozzanghera incontrerete da lì in poi nella vostra vita un fascino esotico inaspettato e irresistibile. Buon senso infatti ci suggerisce che J-AX difficilmente spenderà a Ostia Lido i proventi del pezzo, a ballare divertito in mezzo ad una manciata di casalinghe kitch. Detto ciò la hit è stata pensata e composta per esplodere, nel senso proprio di saltare in aria e scomparire per sempre, alle 00:01 del primo settembre, quindi godetevela finché dura.
“Dove e quando” di Benji & Fede
Voto: 2,5
La hit estiva di Benji & Fede sembra un pezzo di Takagi & Ketra senza la mano di Takagi & Ketra. Un pezzo talmente brutto che sentiamo il bisogno di correre ad alzare il voto a Takagi & Ketra. La base sembra composta da una Bontempi Five con le batterie scariche, il testo parla di un ritardo che non avverrà mai più, se lo devono essere ripromesse anche le madri di Benji & Fede dopo l’ascolto del pezzo. L’impressione è quella del prodotto scongelato ad hoc, diremmo Quattro salti in padella se non fosse che tutti intimamente, da studenti fuori sede sfigati e in fame chimica, abbiamo mangiato Quattro salti in padella e, vergognandoci, facendo sussultare il cuore di nonna, li abbiamo trovati deliziosi. Ecco, “Dove e quando” resterebbe una canzone molto brutta pure dopo esserci fumati la Jamaica.
“Mambo salentino” dei Boomdabash e Alessandra Amoroso
Voto: 5
Mega spottone per la Regione Puglia che sentitamente ringrazia. Nel video c’è tutto, compresa la vecchietta che tira la pasta fresca mentre attorno a lei una manica di giovani modelli (che, è evidente dal loro aspetto, non hanno mai mangiato un filo di pasta in vita loro) balla come alla notte della taranta. Mambo salentino, che non è nemmeno un mambo ma più un reggeaton rappato, è quello che dovrebbe essere, una versione moderna, più ammiccante ed enormemente più commerciale di ciò che fecero, e bene ai tempi, i Sud Sound System. La canzone è roba povera ma cliccando play vi siete guadagnati un mega sconto su tutti gli hotel della Puglia e un corso di dialetto salentino da parte di Giuliano Sangiorgi. Miracoli della musica.
“Una volta ancora” di Fred De Palma con Ana Mena
Voto: 2,5
La prima cosa che viene in mente di rispondere al titolo è: “ma anche no”. Fred De Palma non si capisce bene da dove sia uscito, ha un passato nel rap ma non doveva essere sto gran fenomeno perché il successo vero arriva, sempre in coppia con tale Ana Mena (a quanto pare discretamente famosa, specie come attrice, in Spagna) con “D’estate non vale”, lo scorso anno, che raccoglie qualcosa come 100 milioni di visualizzazioni, una cosa che dovrebbe dirci molto del paese in cui viviamo; e comunque una canzone che col rap non c’entra niente, anzi, è talmente lontana dalla meravigliosa ruvidità del rap che sorridiamo immaginando il Fred De Palma rapper che bullizza con estremo sadismo il Fred De Palma in versione summer, prendendolo a scappellotti sulla nuca con un disco di 2Pac. Un’immagine rigenerante come un condizionatore sparato a 16 gradi. “Una volta ancora” potrebbe essere il sequel di “D’estate non vale” se ci fossimo presi la briga di riascoltare il pezzo a distanza di dodici mesi, cosa che siamo stati impossibilitati a fare a causa della vita che è troppo breve per ascoltare due volte “D’estate non vale”.
“Playa” di Baby K
Voto: 3,5
La rapper con il nome da testimonial per i cereali, ma con meno talento del coniglietto della Nesquik, torna all’assalto, nel senso più letterale e piratesco possibile, dopo il successo della scorsa estate “Da zero a cento”. Baby K è la risposta sbagliata a tutti coloro che si chiedono se sarà mai possibile che nel nostro panorama musicale si imponga ad alti livelli una rapper donna; bene, ascoltando le canzoni di Baby K ti sale dalla bocca dello stomaco un rigurgito maschilista che manco il peggior Collovati. I pezzi di Baby K sembrano la versione diluita di un jingle pubblicitario, una roba studiata a tavolino da una qualche azienda di comunicazione gestita probabilmente da un cattivo dei cartoni tipo Boss Artiglio, che studia campagne di marketing mentre accarezza un gatto sprofondato nella sua poltrona in pelle umana; per dire, il ritornello dice “La playa, l'estate, la notte, la festa”, non è un verso è il risultato di un briefing.
“Con Calma” di Daddy Yankee
Voto: 3
“Con Calma” rappresenta un sacrilegio per tutti coloro i quali sono nati tra la fine degli anni ’70 e la metà degli ’80, tra tutti coloro i quali insomma erano abbastanza adolescenti da aver amato alla follia “Informer” di Snow, hit che nel 1992 sbancò un po' dappertutto. “Con Calma” nel ritornello riprende fedelmente la musica di quella vecchia canzone che, oltre ad essere ben fatta, raccontava una storia mica da ridere. “Con Calma” dovrebbe stuzzicare gli istinti femministi di tante realtà che si irritano e sono pronte a darti fuoco su pubblica piazza solo se confondi “sindaco” con “sindaca”, ma che non muovono un dito quando un’intera generazione di ragazzine rincoglionite dalle storie su Instagram cantano (o si divertono ad ascoltare) ammiccanti “Con calma, yo quiero ver como ella lo menea/Mueve ese poom-poom, girl/Es un asesina, cuando baila quiere que to’ el mundo la vea/I like your poom-poom, girl (sube, sube)/Con calma, yo quiero ver como ella lo menea”, per chi non masticasse la lingua “Con calma, voglio vedere come lo muove/Muovi quel “poom poom” ragazza/È un’assassina, quando balla vuole che tutti la guardino/Mi piace il tuo “poom pomm” ragazza (tiralo su, tiralo su)”, resettando così decenni di lotta per la parità dei sessi. Canzone semplicemente imbarazzante, tipico esempio di come, e quanto, ciò che piace debba soltanto rispettare canoni da intrattenimento spensierato. Dimostrazione palese del decadimento culturale della civiltà occidentale. In soli 3 minuti e spicci di brano fare più danni era praticamente impossibile.
“Corazon Morado” di Elettra Lamborghini e Sfera Ebbasta
Voto: 0
Con “Corazon Morado” tocchiamo forse il punto più basso della stagione musicale, e per punto più basso intendiamo proprio geograficamente la Cina, Narnia, l’inferno, l’Australia, insomma qualsiasi cosa possiamo raggiungere scavando all’infinito, senza mai fermarsi, come se non contasse altro nella nostra esistenza che scappare verso il basso, il più possibile lontani da “Corazon Morado”. Elettra Lamborghini, in quanto artista, non esiste, è bene che voi lo sappiate, che questa cosa sia chiara a tutti; perché accettare che Elettra Lamborghini si presenti come se fosse un artista, che in lei risieda quella flebile fiammella capace di smuovere coscienze, di dirottare vite, di tradurre i nostri pensieri più intimi trasformando il tutto in qualcosa di più alto, quasi divino, non è solo falso ma quasi paradossale. Parliamo davvero del nulla assoluto, di un prodotto studiato a tavolino che con la musica non ha niente a che vedere. Sarebbe stato molto meglio se proprio la tv di Stato italiana non avesse avallato questa pura menzogna chiamandola a fare da coach (con 10 canzoni al momento all’attivo, quindi coach ddeche??) per “The Voice”, confermando quanto il programma non abbia mai avuto alcuna credibilità in termini discografici, una cosa che nasce e muore in tv, come un qualsiasi altro reality. Ecco, in questo senso potrebbe anche starci, ma la musica, per l’amor di Dio, è un’altra cosa. Già c’abbiamo i nostri problemi, ci manca solo la Lamborghini.
“Maradona Y Pelè” dei Thegiornalisti
Voto: 4,5
Sparare sui Thegiornalisti non è come puntare la croce rossa, molto molto più semplice. Nella triade tutt’altro che divina che conclude il segno della croce della musica italiana attuale, dove ad un estremo troviamo la compagnia di Charlie Charles e all’altro la Takagi&Ketra family, Tommaso Paradiso incarna lo Spirito Santo. Non è blasfemia, tranquilli, si tratta solo di capire che i punti cardinali al momento sono questi e la blasfemia sale solo una volta afferrato concretamente il concetto. Paradiso è considerato il futuro della professione del cantautore, ha preso un movimento culturale molto importante come il famigerato “Indie” e lo ha sfruttato, spremuto, cavalcato e buttato nel cestino una volta ottenuto ciò che desiderava; fino ad andare ben oltre la geniale parodia portata davanti alle telecamere dal gruppo comico Le Coliche. Tommaso Paradiso è la parodia di se stesso, non appare sincero e onesto in niente, non come lo era ai tempi di “Promiscuità” perlomeno, una delle più belle canzoni composte nella nostra lingua degli ultimi vent’anni. E “Maradona Y Pelè” è la parodia di una vera canzone, buttata lì giusto perché “Riccione” e “Felicità puttana” sono andate una bomba durante le estati rispettivamente 2017 e 2018, e al primo caldo va sfornato il tormentone, si sa, una cosa della quale capiamo la natura al primo ascolto, ma che fa venire il voltastomaco al solo pensarci. Pop lo sono sempre stati e chi sostiene che il pop sia necessariamente sinonimo di scarsa qualità è non solo snob ma anche ignorante, i Thegiornalisti non hanno la vena rock degli Afterhours, non hanno la folgorante analisi realistica degli Zen Circus, non sfiorano l’impegno politico goffo, sfacciato e satirico de’ Lo Stato Sociale e, se proprio vogliamo dirla tutta, non sono nemmeno i migliori musicisti in circolazione, ma avevano la seria possibilità di intraprendere un percorso più costruttivo, più sensato, più paziente, che magari non prevedeva un passaggio così immediato sotto i riflettori, ma certamente più serio. Invece hanno scelto la notorietà, i Wind Music Award o come cavolo li hanno chiamati a ‘sto giro, la chiusura al Circo Massimo del Rock in Roma, considerato un evento a dir poco ridicolo se si pensa che al Circo Massimo ci hanno suonato relativamente da poco Roger Waters e i Rolling Stones. Non scherziamo con le cose serie. In “Maradona Y Pelè” tutto scorre talmente liscio che non riusciamo a distinguere la differenza tra la parte suonata e l’assoluto silenzio.
“La hit dell’estate” di Shade
Voto: 3,5
All’inizio del pezzo l’autore della canzone urla il proprio nome come se fosse un Cavaliere dello Zodiaco, in realtà serve giusto a dare delle coordinate a Shazam che avrebbe difficoltà a riconoscerlo. Anche “La hit dell’estate” è uno di quei tormentoni simil spagnoleggianti talmente irritanti che il primo istinto dopo averla ascoltata è quella di andare a piangere sotto la doccia. Storia di un incontro tra (indovinate?) “Caraffe di mojito, la spiaggia ed il mare” e naturalmente “tu che quando balli si gira il locale”…wow, la nostra vita non sarà più uguale dopo questa struggente narrazione. Shade, se non lo avete ancora inquadrato, è quello che ha partecipato all’ultima edizione del Festival di Sanremo e voi, mentre entrava sul palco, subito dopo l’annuncio, vi siete chiesti “Chi?”.
“Calma” di Pedro Capò e Farruko
Voto: 3
Quando intorno ai sedici anni lessi per la prima volta “Alta Fedeltà” di Nick Hornby rimasi illuminato dall’idea del protagonista Rob di giudicare le persone dai film che guardano, i libri che leggono e, naturalmente, dalla musica che ascoltano. Rob però non aveva uno smartphone, non lo avevano ancora inventato, oggi io invece posso fare tutto ciò, da puro animale asociale, anche a distanza, senza prendermi nemmeno il disturbo di scambiare due chiacchiere. Basta dare un’occhiata alla bacheca di Facebook e tutto appare lampante, così come quella finestra sulla destra di Spotify che permette di sapere in tempo quasi reale cosa stanno ascoltando gli amici che hai deciso di seguire. Piccola nota personale: una mia cara amica nell’ultimo periodo ascoltava spesso una playlist dal titolo “Latin” e in particolare questa “Calma”. Dovendomi occupare di musica sapevo di cosa si trattava, ma avendo applicato dai 16 anni in poi, il più possibile, la selezione alla Rob, tenendo quindi ben distante da me chiunque ascoltasse musica del genere, ho deciso di contare fino a dieci e chiedere semplicemente il motivo per cui ascoltasse così tanto spesso questa brutta canzone. Marta, così si chiama la mia amica, ci tengo a dirlo, nonostante “Latin”, ragazza in gamba e intelligente, risponde “Alle volte ho bisogno di ascoltare musica leggera, disimpegnata, non sempre quei quattro coglioni di finti intellettuali indie!”. Ecco, la discussione mi ha aperto un universo inesplorato, per rispetto nei confronti di chi legge quando scrivo di musica, ma anche di me stesso e della mia faticosa passione, non riesco nemmeno lontanamente a concepire che la musica possa essere disimpegnata, un mero intrattenimento, come una carrellata di fuochi d’artificio. “Calma” è una canzone brutta, trita e ritrita, uguale a mille altre canzoni che da 40/50 anni ci ossessionano. L’unica differenza è che da un paio d’anni vengono tutte dallo stesso paese: il Portorico. Ma che vi prende col Portorico? Uno stato di circa 9mila km quadrati, nemmeno 4 milioni di abitanti, (tutti dati che trovo su Wikipedia perché nessuno sano di mente sa a memoria quanto esattamente sia grande il Portorico), una roba minuscola che nessuno si è mai filato nemmeno per sbaglio. Chi è quel filibustiere che si è fatto una vacanza lì ed è tornato con un pacco di cd di artisti portoricani? Servirebbe una ricerca sociologica, che mi riprometto di fare quando le mie orecchie resisteranno a più di due minuti di orribile e vuoto pop latino. Alla mia amica voglio ancora bene, ma da quel momento in poi la guardo con sospetto, lei continua a sostenere che la questione è solo che io sarei, cito, “un radical-chic di merda”, ma questa è un’altra storia.
“Soldi” di Mahmood
Voto: 5,5
Quando Mahmood è stato proclamato vincitore della 69esima edizione del Festival di Sanremo l’Italia ha esultato, e non solo perché la vittoria di una delle alternative, Ultimo e Il Volo, avrebbe rappresentato una sconfitta per tutto il festival di Baglioni, un festival che non può prima gridare “Innovazione! Innovazione!” e poi far vincere sempre la solita canzonetta nazional-popolare. Un brano che ha spaccato in due il paese, tra chi gridava allo scandalo per la presunta non eccessiva italianità del ragazzo e chi rispondeva, al contrario, che la sinistra sarebbe dovuta ripartire da Mahmood. Entrambe follie di matrice del tutto diversa. “Soldi” ha riecheggiato ovunque per un paio di mesi per poi tornare alla realtà per occupare la propria dimensione, quella di canzonetta appena appena sufficiente, valida solo nel decretare la vittoria nei confronti del classico sanremese che non solo ha stufato ma, cosa ancora più preoccupante, ha fatto perdere ascolti. Mahmood ricongiunge quindi i giovani e Sanremo, la trap e il cantautorato, italiani e italiani/stranieri, gay ed etero, bianco e nero, qualità e ritmo, yin e yang; mancava solo che moltiplicasse in diretta pani e pesci e l’Ariston avrebbe potuto diventare meta di pellegrinaggio. Ma passato quel momento di euforia, una volta assorbito il puro godimento nel sentire sbottare quel lord di Ultimo rimasto fregato dai voti della sala stampa, la canzone torna ad essere una robetta piccola piccola che probabilmente fuori dal circo Sanremo nessuno si sarebbe filato.
“Pensare male” dei The Kolor e Elodie
Voto: 4
Chi viene fuori dalla cantera di Amici di Maria De Filippi artisticamente parlando è già cadavere. Questo perché Amici è la rappresentazione fisica di quel mainstream che ha ignorato il movimento culturale indie e tirato dritto per la sua strada alimentando il mercato televisivo e radiofonico di musica stantia della quale, fortunatamente, non frega più niente a nessuno. The Kolors, Elodie, sono prodotti interscambiabili con la stessa matrice; vanno in tv per un tot di tempo, cosa che inevitabilmente gli porta pubblico e notorietà, ma non è quel pubblico che poi viene ai concerti e la notorietà sparisce all’improvviso una volta partite le selezioni per la prossima stagione. Non è cattiveria, è matematica. “Pensare male” sarebbe potuta uscire anche dieci anni fa, featuring tra un artista di Amici X e un altro Y, e sarebbe stata la stessa identica cosa. Il pubblico televisivo sarà anche numeroso, ma si stanca in fretta. “Pensare male” è musica leggera, il problema qui è che non è più tempo per musica leggera.
“I Don’t Care” di Ed Sheeran e Justin Bieber
Voto: 4
Il duetto tra Ed Sheeran, “Bob Dylan del nuovo millennio” direbbe un sordo, e Justin Bieber, “erede di una dinastia di superstar del pop a stelle e strisce dal talento cristallino” direbbe la signora Bieber, risulta essere una gran delusione. Non perché il pezzo sia brutto, e lo è, e anche tanto, ma d’altra parte nessuno si aspettava da loro necessariamente “Under Pressure” (visto che stiamo a parlare di duetti), ma perché da due arrivati a tali livelli, e parliamo dei livelli massimi raggiungibili sul pianeta Terra con una chitarra in mano, ci si aspetta un tantinello di mestiere in più. “I Don’t Care” invece si uniforma al sound andante in maniera così camaleontica che il fatto che sia cantata in inglese e non in spagnolo quasi quasi da pure fastidio. “Sono ad una festa a cui non voglio essere/mi sto chiedendo se posso sgattaiolare via dal retro” dicono i primi versi della canzone e più o meno è la stessa cosa che metaforicamente si prova ascoltandola, ci si chiede quale sia il modo più veloce di porre fine a questo supplizio. Ma, ehi, ottima notizia: come le feste, anche “I Don’t Care”, anche se non lo direste mai una volta cliccato play, prima o poi, finisce.