Se gli Stati Uniti avessero una voce sarebbe senza alcun dubbio quella di Bruce Springsteen. Non è una sua precisa volontà o segno del tipico machismo da film a stelle e strisce, ma si tratta di una sorta di autorevolezza e meravigliosa introspezione rock; un po' meno ora che sfiora i 70 anni com’è giusto che sia e trova il tempo di regalarci un album in cui riesce ad essere Springsteen lasciandosi alle spalle parte di ciò che lo ha reso Springsteen.
La band per prima cosa, dato che “Western Stars” non può vantare la collaborazione della sua E Street Band e la differenza, in positivo, è evidente. Non che nessuno possa aprire bocca sulla E Street Band, intendiamoci, ma è evidente che il Boss avesse voglia di dire altro in un altro modo. Allora largo spazio alla produzione di Ron Aniello, agli arrangiamenti orchestrali, ad un country moderno e coinvolgente. Una perla, lo ha definito così Springsteen stesso e noi ci accodiamo stupefatti.
Già perché è impossibile ascoltare un album di una superstar come Bruce Springsteen e non fare riferimento perlomeno a quei quattro/cinque capolavori già regalati alla storia della musica ed è strabiliante pensare a quanta roba bisogna avere dentro per arrivare nel 2019, dopo una carriera partita nel 1973, quindi quasi cinquant’anni prima, e sfornare un album come “Western Stars”.
Il Boss torna a guardare ad altro da sé, come a volersi prendere la responsabilità di raccontare anche questa America trumpiana, decisamente diversa da quella di quando aveva qualche anno in meno. La narrazione parte con le stupende “Hitch Hikin’” e “The Wayfarer”, blues malinconici, il nonno (senza alcuna allusione anagrafica) che ti chiama ancora una volta ai piedi della poltrona per raccontarti un’altra storia, che tu ascolti come se fosse l’ultima volta: commovente.
La bellezza del disco risiede anche nella sua imperfezione, nel suo funzionare a corrente alternata, tra pezzi che, sì, belli, ok, e ci mancherebbe, ed altri che ti lasciano tramortito a guardare il soffitto per la bellezza, colpito sotto la cintura e steso, come se la tua vita avesse finalmente trovato la colonna sonora cercata per così tanto tempo, è il caso di brani come “Drive Fast (The Stuntman)” e “Chasin’ Wild Horses”.
Si, l’orchestra non aiuta sempre, specie proprio in quei brani dove ti sale nel cuore una nostalgia sconfinata per quella succitata E Street Band, ma comunque è meglio così, ci vuole coraggio (e mestiere) per concentrarsi e restare fissi sul proprio obiettivo, sul proprio concept, su come si desidera che la propria musica, proprio in quel momento, risuoni nelle orecchie di chi ascolta, allora passino pure quei pezzi dalla presa un po' più morbida, che scorrono un po' più lisci, perché andando avanti nell’ascolto poi Bruce ti tira fuori pietre preziose come “Stones”, con versi come “I woke up this morning with stones in my mouth/You said those are only the lies you’ve told me/Those are only the lies you’ve told me” che ti rendono il respiro più pesante, ti proiettano immediatamente su una qualsiasi road americana alla ricerca di tutto ciò che non ti sei sentito dire durante la vita, e il Boss accanto a te, dalla tua parte, come in “Alta Fedeltà” quando assisteva in prima persona le scelte del protagonista “Rob” (recuperate immediatamente film e, soprattutto, romanzo se ve lo foste perso).
Album come “Western Stars” più che belli sono necessari, come aprire le finestre della casa al mare chiusa da mesi per fare entrare aria e luce. Una sensazione antica, anzi, meglio, epica, che permette ad emozioni che sono sempre meno stimolate dalla musica attuale di stiracchiarsi, di respirare, di tornare ad avere un profumo. È questo che si prova, per esempio, concludendo l’ascolto del disco con “Moonlight Hotel”, un senso di nostalgia che sai già si andrà a sfracellare contro la prima canzone trap quando avvierai la radio.
Chiediamo sempre meno alla musica che ascoltiamo, forse è questo il problema, per fortuna poi ogni tanto arriva il Boss e ci regala qualcosa che va un po' oltre, ricordandoci che ci è concesso pretendere di più dalla musica e, di conseguenza, chissà, anche dalla vita. L’effetto dell’ascolto di un buon disco porta anche a questo, magari a fare la differenza. Questo può fare la musica, questo è giusto che faccia la musica, il resto è solo intrattenimento.